Eliogabalo
Dramma per musica
Libretto di Aurelio Aureli
Musica di Giovanni Antonio Boretti
Prima esecuzione: 10 gennaio 1669, Venezia, Teatro Santi Giovanni e Paolo.
Video dell’opera
Intervenienti:
ELIOGABALO imperatore | soprano |
ALESSANDRO cugino d’Eliogabalo | soprano |
DOMIZIO console romano | basso |
FLAVIA figlia di Domizio | soprano |
FLORA dama romana | soprano |
TIBERIO cortigiano favorito d’Eliogabalo | soprano |
NISBE vecchia nutrice di Flavia | tenore |
ANTIOCHIANO prefetto delle guardie pretoriane | soprano |
IRENO servo sagace confidente d’Eliogabalo | contralto |
ERSILLO paggio di corte | soprano |
Coro di Cavalieri romani prigionieri, Soldati pretoriani, Dame romane, Cavalieri, Paggi, Alabardieri, Cortigiani, Littori.
La scena è in Roma.
Libretto – Eliogabalo
Signori osservantissimi
Al nome glorioso di vv. ss. illustrissime, che non meno de’ Pompei, e de’ Traiani coll’erezione di sontuosi teatri, e con la protezione de’ virtuosi si fanno conoscer nel mondo per veri mecenati delle muse, dedico questo debil parto della mia penna, la quale non temerà giammai il precipizio degl’Icari, quando sarà assistita dal sole luminoso della loro sublime protezione, sperando di non incontrar le cadute, mentre è stata sollevata al merito di poterle servire. Supplico in tanto vv. ss. illustriss. ad aggradire questo riverente olocausto della mia antica devozione, e continuata osservanza da me professata, posso dir da che io nacqui all’eccellentiss. loro casa, bastandomi per sommo di gloria il poter pregiarmi d’esser per tutta mia vita.
Di vv. ss. illustriss.
Venezia li 10 Genaro 1667
Aurelio Aureli
Lettore
Torno ad infastidirti con la mia debolezza: e quando credevo arrecarti men noia con un altro Eliogabalo parto di sollevato ingegno già estinto, ornato di varie gemme di veneta penna erudita, aggiustato da me in qualche parte all’uso del genio corrente, ed in fine nobilitato dalla musica singolare del signor Francesco Cavalli, m’è convenuto impensatamente per vigoroso commando di chi devo obbedire terminar frettolosamente questo mio Eliogabalo parto legittimo della mia penna in tutto diverso di costumi, e d’azioni dall’altro, qual già due anni principiai a componere con diligente studio di formar un dramma adeguato al tuo genio.
Qualunque egli siasi, ti prego a gradirla col solito della tua benignità già da me sperimentata in tanti altri miei drammi passati. L’ammirabile musica del sign. Gio. Antonio Boretti romano; il virtuoso pennello del sign. Ippolito Mazarino; l’invenzione delle scene del sig. Gasparo Mauro ingegnero; la bizzarra disposizione negli abiti del sign. Orazio Franchi, e l’esquisitezza de’ virtuosi, che la rappresentano, serviranno di rare qualità per coprirti in molte parti le mie debolezze. Non m’estenderò d’avvantaggio in protesti circa le voci, fato, destino, e simili essendomi già altre volte espresso di scherzar con la penna, e non equivocar nella fede. Va’, vedi: benigno gradisci: e vivi felice.
Argomento
A Macrino imperatore di Roma successe nel trono Eliogabalo in età d’anni 15. Questi di sacerdote del sole, ch’era nella Fenicia non a pena strinse in Roma lo scettro di quella monarchia sì famosa, che principiò con abominevoli operazioni a dar segni evidenti del suo genio lascivo, commettendo tali dissolutezze, con le quali avanzò di gran lunga le scelleraggini de’ suoi antecessori. Si fece a guisa di trionfante sovra carro maestoso tirar in Campidoglio dalle femmine più belle di Roma. Spese immensità d’oro ne’ suoi conviti. Ordinò, che di notte in Roma si facessero l’operazioni del giorno, ed il dì si riposasse come in tempo di notte, ed finalmente concesse in Roma alle donne il senato, distribuendo le cariche, e gl’onori alle persone più vili, e più viziose della sua corte, Per il che sollevateci le guardie pretoriane tentarono la di lui morte, acclamando per cesare Alessandro cugino d’Eliogabalo principe giovinetto di virtuosi costumi: ma per opra di Semimira madre d’Eliogabalo, ed a’ prieghi d’Antiochiano suo prefetto fu acquietata questa prima sollevazione de’ pretoriani, essendo però prima da Eliogabalo fatto cesare Alessandro, ed eletto da lui per compagno nell’impero, il che serve di meta al presente dramma per terminarlo con lieto fine, sfuggendo la seconda sollevazione de’ pretoriani, nella quale diedero la morte ad Eliogabalo, strascinandolo ignominiosamente per le pubbliche piazze e gettandolo finalmente nel Tevere, dando sepolcro d’acque alla più lasciva fiamma di Roma.
Ita El. Lamp.
Di quello si finge
Ch’Eliogabalo vivesse invaghito di Flora dama accorta di Roma, e di Flavia onesta donzella figliuola di Domizio.
Che Flora acquistata la grazia di cesare abbandonasse gl’amori di Tiberio favorito d’Eliogabalo.
Che Domizio per viver lontano dalle scelleraggini d’Eliogabalo, odiando i suoi viziosi costumi, abbandonata la pratica della corte si fosse ritirato con Flavia ad abitar tra le delizie d’un suo palazzo fuori di Roma.
Che Flavia vivesse innamorata delle virtù, e costumi d’Alessandro.
Che Alessandro fosse di genio contrario agli amori.
Con questi verisimili si forma l’intreccio del dramma, a cui porge il nome Eliogabalo.
Atto primo
Scena prima
Campidoglio.
Eliogabalo assiso con Flora a guisa di trionfante, sopra carro maestoso tirato da Femmine in Campidoglio.
Tiberio, Antiochiano, Cavalieri, Pretoriani, Paggi, Popolo fuori del Campidoglio.
ELIOGABALO
Ho vinto Amore, ho vinto,
cinto di mirti i tuoi trionfi io spiego
cedan de’ prischi eroi
l’onorate memorie in Campidoglio
ch’al dio bendato oggi qui innalzo il soglio.
(qui s’alza dal carro con Flora per scendere dal Campidoglio)
Invide, o belle
de’ miei trofei
saran le stelle,
anzi gli dèi
s’una Venere ha ‘l ciel, qui traggo anch’io
cento veneri avvinte al carro mio.
ANTIOCHIANO
O del Lazio guerriero
deturpati trofei, misero regno!
Di monarca romano, o lusso indegno!
ELIOGABALO
Flora, quegl’occhi neri
degli strali d’amor sono fucine,
anzi carboni accesi,
ch’ad ogni sguardo al cor con linee ardenti
segnano i lieti dì de’ miei contenti.
FLORA
Ardono gl’occhi miei, perché idolatri
al tuo cesareo lume, a poco a poco
quai Prometei in amor tolsero il foco.
TIBERIO
(verso Flora)
Lusinghiera sirena!
Con accenti omicidi
gl’uomini incanti, e poi, crudel gl’uccidi:
perfida Flora! Appena
un sol guardo mi gira: empia, infedele!
Delle dolcezze mie,
contemplo il vaso, ed altri gusta il mele.
ELIOGABALO
(giunto appresso Tiberio)
Tiberio, perché mai
sì mesto ti rimiro,
ne’ miei dì più giocondi, e più sereni?
TIBERIO
Cesare il mio destin vuole, ch’io peni.
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