La fede tradita, e vendicata
Dramma per musica.
Libretto di Francesco Silvani.
Musica di Francesco Gasparini.
Prima esecuzione: 5 gennaio 1704, Venezia, Teatro San Cassiano.
Attori:
RICIMERO re dei Goti destinato sposo di Edvige, poi amante di Ernelinda | soprano |
RODOALDO re di Norvegia | contralto |
ERNELINDA figlia di Rodoaldo amante di Vitige | contralto |
EDVIGE figlia di Grimoaldo già re di Norvegia | contralto |
VITIGE principe reale di Dania, cugino di Edvige, amante di Ernelinda | soprano |
GILDIPPE principessa reale di Sarmazia, amante occulta di Ricimero | soprano |
EDELBERTO principe reale di Boemia amante di Edvige | soprano |
Libretto – La fede tradita e vendicata
Illustrissimo…
…ed eccellentissimo sig. sig. patron colendissimo.
Permetta benignamente alla fine v. e. questo sfogo alla mia devozione, di consacrarle questa, qualunque ella sia poco meno, che estemporanea fatica della mia penna. Se io possa ragionevolmente chiamarla con questo nome, non vi è chi meglio il sappia di v. e. per il di cui riverito comandamento ella nacque; di qui è, che io non saprei dove ritrovare chi meglio compatisce la fiacchezza di questa offerta, che nella di lei persona, che difenderà con le angustie del tempo quelle imperfezioni, che da altri sarebbero interamente considerati effetti della debolezza dei miei talenti. Avrei bene adempiuto a questo mio debito, nell’uno, o nell’altro de gli anni scorsi, in cui ebbi l’onore di servire a v. e. recando sovra il di lei teatro a passeggiare la mia debole musa, ma il riguardo da me sempre avuto alla di lei esemplare modestia ha differito fino a questo punto questo per altro indispensabile uffizio del mio dovere; non posso più oggi resistere a gli stimoli della mia ossequiosissima gratitudine concepita nel mio cuore per la fortuna, che v. e. ha conceduta a questo, ad al passato mio dramma di farli comparire in scena sostenuti dalle distinte qualità de’ più ragguardevoli virtuosi, che vestano sovra le orchestre il coturno. Ed ecco eccellentissimo signore il più forte motivo, per cui mi sono preso lo ardire d’onorare queste mie rime, col por loro in fronte il di lei riveritissimo nome. Se egli è stato soverchio, v. e. ha assai di generosità per benignamente perdonarlo, e per aggradire, che io con tutto il maggiore rispetto a piedi di questo foglio ossequiosissimamente mi sottoscriva.
Di v. e.
Venezia 5 gennaio 1704
Umilissimo devotissimo riverente servitore
Francesco Silvani
Argomento
Scacciato dal regno di Norvegia da’ suoi stessi vassalli Umblo, si ricoverò presso Ataulfo re di quei Goti che stesero i confini del regno loro fino alle rive dell’Albi, e condusse seco una sua unica figlia. Al soglio di Norvegia fu sollevato Scandone, contro cui mosse la sciagura di Umblo quasi tutti i principi del settentrione, che unite le loro forze a quelle di Ataulfo, si accinsero a rimettere in trono Umblo. Si oppose a questo torrente Scandone, e tenne per qualche tempo in bilancio la fortuna del regno. In una delle battaglie, che si diedero fra questi eserciti restò ucciso Alarico figlio di Scandone dalla mano medesima di Ataulfo. Concepì Scandone tanto sdegno per la morte del figlio, che se bene gli fossero proposti vantaggiosi partiti di pace, fino a lasciarlo regnare fin che volesse, a condizione, che lui morto, fosse riconosciuta regina la principessa figlia di Umblo, che in questo tempo mancò di morte naturale, non si poté giammai questo rigido principe ridurre ad accettarli. Restò finalmente egli vinto e prigioniero. Ma l’infedele Ataulfo vedutosi vincitore, ricusò il restituire il regno alla figlia di Umblo, per le ragioni di cui si era intrapresa quella guerra, con tutto che avesselo promesso al morto di lei padre, ed a tutti i principi confederati. Questa infedeltà irritò gl’animi generosi di questi a vendicare la principessa, e perché era necessario l’acquistarsi ancora l’amore de’ norvegi fedelissimi al loro re prigioniero, fu risoluto di liberarlo dalle forze di Ataulfo, e restituirlo al trono, con la condizione sopra accennata, cioè che lui morto, ricadesse il regno nella principessa figlia di Umblo. Il tutto si eseguì, ed ebbe in grado di somma fortuna Ataulfo il ritornare al governo della sua Gotia. Sovra questa base è fondato il dramma presente, in cui si mutano per comodo della musica i nomi di Umblo in quello di Grimoaldo, in quello di Ricimero quello di Ataulfo, e quello di Scandone in quello di Rodoaldo. Danno materia all’episodio, gli amori di Vitige principe reale di Dania con Ernelinda figlia di Rodoaldo amanti scambievolmente prima del cominciamento di questa guerra, di Edelberto principe reale di Boemia con Edvige figlia di Grimoaldo; e quello segreto di Gildippe principessa della Sarmazia per Ricimero.
Cortese lettore
Ti presento questo secondo mio dramma concepito in fretta, partorito con precipizio; il mio fine è stato sempre lo stesso, cioè quello di piacerti, e tu devi per gratitudine prestarmi sempre il tuo generoso compatimento. Vedrai che qualche personaggio non cammina sempre all’eroica, passando in sentimenti men propri d’un tal carattere; ma sappi che questa severa virtù sa più tosto farsi ammirare, che meritarsi la compassione, e Venezia, che in altri nulla ritrova d’ammirabile, ama meglio sentirsi agitare la delicatezza de’ suoi teneri affetti. Sappi in oltre (se altro incontrassi, che men ti piacesse) che mi conviene servire alla musica, al teatro, al numero, alla soddisfazione, all’abilità de gli attori (riguardi non mai abbastanza raccordati alla critica) e in questi avrai più ragioni, onde sospendere i giudizi precipitati contro di chi ti stima tanto, che s’induce a renderti conto in queste righe, de le sue fatiche.
Ti desidero giusto, e felice: e se ascolti le voci, fato; deità, e simili; avverti che con lingua gentile parla un cuore perfettamente cattolico.
Atto primo
Scena prima
Cortil regio.
Rodoaldo, Ernelinda.
ERNELINDA
Tanto dunque signor, è sfortunato
il povero mio pianto,
che non possa ottener da la tua destra
il dono di una morte?
RODOALDO
Un cuor vile, o Ernelinda,
corre in grembo a la parca
per sottrarsi al furor de le sciagure;
un’alma eccelsa affronta
armata di virtù l’impeto altero
d’una torva fortuna.
ERNELINDA
Ah padre, e chi assicura
la gloria mia dai violenti assalti
d’un vincitor amante, e disperato?
RODOALDO
Il cuor di Rodoaldo,
che a te palpita in petto. Ama Vitige,
è forse vincitor; ha però un’alma,
in cui regna ragion su’ bassi affetti,
ma quando anche il rendesse
l’insolente vittoria altero, ed empio,
il metterà in rispetto
la tua fortezza.
ERNELINDA
Ah senti, o padre senti
del vincitor le strida,
l’ululato del vinto.
RODOALDO
Ancor si pugna
su le mura difese, io colà porto
gli ultimi sdegni; a Ricimero in fronte
spuntar non lasciarò facili allori;
e se la mia caduta
con cifra di comete ha scritto il fato,
morrò ne la mia reggia, e coronato.
ERNELINDA
Ah padre e me qui lasci…
RODOALDO
In petto avrai
la tua virtù, la mia giustizia al fianco;
Ernelinda me n’ vado; il dono estremo,
ch’io ti lascio è il mio amore,
e contro Ricimero
del mio figlio uccisor, contro Vitige,
che mi getta dal trono, e toglie il regno,
l’eredità di un giusto eterno sdegno.
Se l’amor mio t’è caro,
questo mio giusto sdegno
figlia difendi in te;
io per entrambi al paro
con questo amplesso impegno
l’onor de la tua fé.
Scena seconda
Ernelinda.
Cuor mio, l’alto comando
ne la più forte impenetrabil parte
custodisci di te. Vitige amasti
malgrado a Rodoaldo, in regal figlia
colpa non lieve; i tuoi sublimi affetti
ad aborrire impegna
chi il tuo gran genitor balza dal trono;
ed il primo delitto io ti perdono.
Egli è forza cangiar cuore,
o nel cuor cangiar la face.
Spezza l’arco infausto amore,
vanne, e soffrilo con pace.
Volendo entrare vede le fiamme della reggia incendiata.
ERNELINDA
Ma, che rimiro o stelle!
Arde la reggia, e le nemiche insegne
queste soglie reali empion di lutto:
orribil vista. Ah più d’ogn’altro ancora
formidabile aspetto. Ecco Vitige
con la vittoria in pugno; ad Ernelinda
porta l’ultimo assalto.
Generoso mio cuore,
or che d’amore il vasto incendio è spento,
di tua fortezza armato entra in cimento.
Scena terza
Vitige con Soldati, e spada alla mano, dopo Ernelinda.
ERNELINDA
Usurpi ancora
traditor questo nome? e sotto al ciglio
una spada mi rechi
ne le misere vene
spinta dal tuo furor de’ miei vassalli?
Tra gli incendi, e le stragi
si portano gli amori? e mi si reca
per occupar un talamo di pace,
d’Enio la destra, e d’Ecate la face?
VITIGE
Cotant’ire o mia vita? e chi potea,
toltone il nostro Marte, ottener le tue nozze
da un genitor crudele,
che le niegò fino alla sua grandezza
da me offerita? a questo prezzo ottenne
Ricimero il mio brando
e tale ora mi accogli? ah dove sono
le prime tenerezze? e dove il primo
amor del tuo bel core?
ERNELINDA
Tu del mio amor mi chiedi? io ti domando,
ove sono o Vitige i miei vassalli?
ove il mio padre? ove la mia corona?
VITIGE
Il padre avrai, ch’ogni soldato ha in legge
il rispettar quel cuor, di cui sei parte;
i tuoi vassalli avrà la Dania, ed io
già ti fermo sul crin la tua corona.
ERNELINDA
Riceverla potrei
da una destra, che spinge
Rodoaldo al servaggio? Eh no Vitige,
tempo è di sdegni, e non d’amori; in petto
la mal difesa amante fiamma estingui;
il carattere ostenta
di vincitor nemico;
queste chiome recida
il servil ferro, e questo piede
opprima vile catena; il tuo crudel trionfo
seguirò prigioniera al carro avvinta;
tua schiava io sono, e mio signor tu sei;
né punto io mi riserbo
di libero nel cuor, che gli odi miei.
Quanto ingrato ti adorai
tanto ancor ti aborrirò;
quell’affetto,
che per te mi ardeva in petto,
tutto in sdegno si cangiò.
Scena quarta
Vitige.
Vittoria infausta, in cui fra lauri, e palme,
al mio povero cuor spunta il cipresso.
Io però non so ancora abbandonarvi
combattute speranze.
Quando più il sole appar fra nubi involto,
adorno di più rai ci spiega il volto.
Col latte di speranza
vuò pascere il mio amor;
e vuò che la costanza
trionfi del rigor.
Scena quinta
Padiglioni in veduta della città.
Edvige, poi Gildippe.
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