La morte di Orfeo

Tragicommedia pastorale

Libretto e musica di Stefano Landi

Prima esecuzione: 1 giugno 1619, Roma, Palazzo dei principi Borghese.
Video dell’opera

Personaggi:

TETI regina del mare, nel fiume Ebro contralto
FATO nel cielo basso
EBRO fiume basso
AURORA con tre euretti contralto
ORFEO tenore
MERCURIO con due giovani tenore
APOLLO tenore
BACCO contralto
NISA soprano
IRENO tenore
LINCASTRO contralto
FURORE basso
CALLIOPE madre d’Orfeo contralto
FILENO pastore nunzio tenore
CARONTE basso
EURIDICE soprano
GIOVE basso
FOSFORO contralto
PRIMO EURETTO soprano
SECONDO EURETTO contralto
TERZO EURETTO contralto

Coro di Pastori. Coro di Satiri. Coro di Menadi. Sacerdotessa di Bacco. Coro di Dèi.

Libretto – La morte di Orfeo

Dedica
All’ill.mo ed rever.mo signor ed patron mio calendissimo il signor Alessandro Mattei chierico di Camera, abate di Nonantola ecc.
Ho creduto donando questi miei musicali componimenti a v. s. illustr. non far cosa punto lontana da quell’antica opinione, secondo la quale furon dette le muse tutte l’opere loro canoramente comporre e con musicali accenti scrivere o parlare; anzi aggiunsero alcuni il mondo tutto e l’animo di quello breve compendio esser d’armonica misura composto, e per quella vivere e sostenersi. Imperò che se questo è in alcuna maniera vero, per certo nelle interne doti di v. s. ill.ma è verissimo, nella quale tanto ogni parte corrisponde e consuona, che la fama non troncamente e con voce imperfetta, ma con intera ed egual testimonianza ne fa in ogni luogo fede e certezza. Aggiungesi che al molto diletto che dalle più gravi scienze ella riceve, tanto corrispondono gli ornamenti delle minori, che quasi la musica alla poesia congiunta doppiamente gli animi altrui con dolce forza trae ad amarla ed onorarla.
Tra questi minori suoi ornamenti ella degnamente ripone musica, nella quale poi che, come d’animo ben composto, tanto si diletta v. s. ill.ma, non si sono arrossite queste mie imperfette note a ricorrerle in seno, sperando che se per loro si canta la morte di Orfeo per l’altrui invidia estinto, e per sua gloria immortale, esse, ben che morte in sé medesime, siano per aver felicissima e secura vita nella buona grazia di v. s. ill.ma, alla quale bacio riverentemente la mano.
Di Padova li primo giugno 1619.
Di v. s. ill.mo e rever.mo
servitore umilissimo
Stefano Landi
Argomento
Celebrando Orfeo con un convito de’ dèi il suo giorno natale, è ucciso dalle menadi per ordine di Bacco, per non averlo voluto in detto convito, ed è poi da Giove trasferito in cielo.

Atto primo

Scena prima
Teti nell’Ebro, Fato in cielo.

TETI
Teti, del mar regina,
con argentata conca in onde d’oro
solco dell’Ebro il liquido tesoro.
Qual ogni lido inchina
da che il canoro semideo vi tira
il ciel, la terra, il mar con la sua lira.
Ah questa, ahimè (che vede
la mia mente indovina?) è l’ultim’ora
della lira e del canto, e fia che mora
Orfeo, non già sul piede
punto come Euridice, ma da insano
furor di donne inciso a brano a brano.
Ahi, soffrirete, selve,
così crudo spettacolo e sì fiero?
Lo vedrai, ciel? Lo vedrai, padre arciero?
Lo vedrete belve?
Né torrassi di man dell’empio fato
Orfeo, dal ciel inutilmente amato?
Io no ‘l vo’ già soffrire,
scenderò in terra e condurollo in seno
de’ miei scogli reali, al mar Tirreno.

FATO
Torna, Teti, nel mar, non toccar terra,
ch’il tuo nume indovino
oggi vaneggia ed erra.
Non sai tu ch’immutabile destino
vuol ch’oggi pera Orfeo?
Or taci e torna; e mora
s’io ve ‘l comando e queste stelle or ora.

TETI
Io parto, ahimè, ma tu festeggi intanto.
Citaredo infelice, il tuo natale,
e le parche crudeli il crin fatale
recidono, ond’in pianto
volgeransi i conviti, il canto e ‘l riso;
or chi non piange e discolora il viso?

Scena seconda
Ebro solo.
Lascia, Diana, omai l’erranti spere,
lascia i notturni balli;
già sparita è nel ciel ogni facella,
tu, sfavillante e bella,
sola passeggi ancor gli eterei calli.
E tu che fai? Non sorgi
ahimè, non sorgi ancora,
madre e figlia del sol, novella Aurora?
Ahi luci sonnacchiose,
sorgete omai dal letto trionfale,
dai molli gigli e morbidette rose.
Non ti sovvien? D’Orfeo
oggi è ‘l giorno natale;
per onorar l’illustre semideo
manda il ciel i suoi numi;
la terra indora di celesti lumi;
destati dunque, sonnacchiosa, omai.
Apri, Aurora, le porte
al dì nascente, ai fortunati rai.
Ecco, l’apre: o felice, o lieta sorte!

Scena terza
Euretti, Aurora, Ebro.

PRIMO EURETTO
Su su, dall’oriente
uniti venticelli usciamo fuori
a rallegrar i fiori,
che già vicin si sente
l’annitrir…
(il Secondo e Terzo euretto ripetono queste parole)

AURORA
Fra desta e ancora in sogno,
parvemi di sentir il mormorio
de’ flutti d’oro
d’Ebro canoro,
che si lagna del tardo sorger mio.

PRIMO EURETTO
Non vedi là, non vedi
che a noi fissa le luci e par che indori
a’ raggi tuoi i vaghi suoi colori?

AURORA
Scendiamo dunque e de’ celesti fiori
portiamo in terra un nembo;
empiamne pur il grembo,
che ‘l dì natale
d’un dio mortale,
è degno ben di sovrumani onori.

TERZO EURETTO
Portiamo fiori no, ma bianche perle,
assai più dolci al gusto
che candide a vederle:
portiamo in terra un nobil dono augusto.

LI TRE EURETTI
insieme
Godete pur, mortali,
e obliate intanto
fra ‘l nostro dolce canto
e le dolcezze nostre, i vostri mali.

EBRO
Scendesti pur, o diva, e ‘l dì felice
rimeni, quand’Orfeo mirò del padre
le beate de’ rai lucide squadre;
ed or quel giorno braman festeggiare
più lieti l’aria, il ciel, la terra e ‘l mare.
Sol s’aspettava che ne desse il segno
la bell’Aurora dal fiorito regno.

AURORA
Eccomi pronta fuor dell’oriente:
per me si tolgan tutte le dimore,
passin felici l’ore e voi, mia prole,

"Dimmi il mio nome prima dell'alba, e all'alba vincerò"
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