Il trionfo dell’onore
Commedia posta in musica
Libretto di Francesco Antonio Tullio
Musica di Alessandro Scarlatti
Prima esecuzione: 26 novembre 1718, Napoli, Teatro dei Fiorentini.
Video dell’opera
Personaggi:
FLAMINIO Castravacca, vecchio mercatante, zio di Riccardo Albenori, di Lucca, che ha trattato di matrimonio con Cornelia Buffacci; ed innamorato di Rosina Caruccia, serva dell’istessa Cornelia | tenore |
CORNELIA Buffacci, vecchia, zia di Doralice Rossetti, ed innamorata di Flaminio | tenore |
LEONORA Dorini, di Lucca, sorella d’Erminio, ed innamorata di Riccardo Albenori, dal quale le s’è tolto l’onore | contralto |
DORALICE Rossetti, di Lucca, nipote di Cornelia, prima innamorata d’Erminio Dorini, e poi di Riccardo Albenori | soprano |
RICCARDO Albenori, di Lucca, nipote di Flaminio, giovane dissoluto | soprano |
ERMINIO Dorini, di Lucca, fratello di Leonora, ed innamorato di Doralice | soprano |
ROSINA Caruccia, serva di Cornelia, che poi s’innamora di Capitan Rodimarte Bombarda | contralto |
CAPITAN RODIMARTE Bombarda, camerata di Riccardo Albenori, che poi s’innamora di Rosina Caruccia | basso |
La scena si finge in una villa di Pisa poco lontana dalla città.
Libretto – Il trionfo dell’onore
Eccellentissima signora
Umilmente prostrato a’ riveritissimi piedi dell’ecc. v., vi presento (sig. eccel.), in questa commedia, il TRIONFO DELL’ONORE, colla certezza, che abbiate voi la benignità d’accoglierla sotto l’ombra onorata di vostra gloriosa, e sublime grandezza, perché più fastoso, e risplendente apparir possa a gl’occhi de’ spettatori. Risplenderà insieme (eccel. sig.) la vostra somma generosità infacendolo degno della vostra autorevole protezione, mercé la quale, vanterà egli più lustro, e maggior decoro de’ rinomati trionfi, che de’ suoi cesari, e consoli vide nel suo Campidoglio l’antica Roma; ed avrò ancor io l’eccelso vanto di manifestarmi col più profondo de miei ossequiosissimi rispetti.
Di v. e.
Umilm., dev., ed osseq. ser.,
Salvadore Toro
Argomento
Vivea nella città di Lucca Riccardo Albenori, giovane scapestrato, e dissoluto, dedito a goder delle donne, senza che fosse capace il suo petto né pur d’una scintilla del fuoco d’amore. Arrivò egli, co’ suoi tratti lusinghieri, ad ingannar Leonora Dorini, donzella della stessa città, a segno, che giunse a torle l’onore, dopo averle data la fede di farla sua sposa. Colla medesima fede allettò anche Doralice Rossetti, della mentovata città (ch’era prima innamorata d’Erminio Dorini, fratello di Leonora, che da più tempo si ritrovava partito per Livorno); ed avrebbe conseguito l’istesso intento, se in quella notte, che dovea ad essa portarsi, non gli fosse accaduto di fare un’ardita resistenza alla corte, per la quale si vide astretto a fuggire in un villaggio di Lucca, dove per più giorni trattenne nascosto, facendo correr voce d’essersi portato in Pisa. Aveva Riccardo per suo indivisibil compagno capitan Rodimarte, uomo scalacquato ancor esso, e di genio non differente al suo, dal quale eran secondate, assistite, e fomentate le leggerezze di quello, perché ne cavava il profitto di vivere a sue spese. Avendo ambedue dimorato alquanti giorni nel già detto villaggio, fecer essi pensiero di passar in Pisa, dove stava Flaminio Castravacca, zio di Riccardo, che tenea in cura alcuni poderi di esso, a sol fine di cavarne danari, per andar girando in altre parti d’Italia, e soddisfare alle loro dissolutezze; ma non fu senza pericolo il tragitto, ed ebbero in sorte di scampar da ministri della corte da quali furono inseguiti sino alle vicinanze di Pisa. Sparsasi la prima voce per Lucca, che Riccardo fosse venuto in Pisa, e giunta all’orecchie di Leonora, e di Doralice, dopo aver esse aspettato più giorni il suo ritorno, risolvettero, ciascuna da sé; la prima stimolata dall’onor perduto, e non meno dall’amore; e l’altra dal forte amore, e dalla fede di sposo; di venir in Pisa a ritrovar Riccardo, animate maggiormente dalla vicinanza dall’una all’altra città. Partì prima Leonora in una sera, ed avendo in pratica la via, per averla fatta più volte con suo fratello, arrivò stanca, e lassa al far del giorno in una villa poco distante da Pisa, dove, sovrapesa da un forte svenimento, fu accolta da Cornelia Buffacci, zia di Doralice; e questa, avendo per l’oscurità della notte smarrita la strada, vi giunse ore dopo, fu ricevuta ancor essa da sua zia. Nel tempo stesso capitò anche in quella villa Erminio Dorini, fratello di Leonora, che da Livorno ritornava in Lucca, dove ritrovò la sorella, e l’amata. Bastar deve questo per notizia del viluppo, giacché nella commedia potrà leggersi ciò, che venne a risultarne.
S’avvertisce il cortese leggitore, ch’essendo la commedia riuscita alquanto lunga di recitativo, è convenuto perciò d’abbreviarsi; imperocché si sappia, che non si cantano tutti quei versi, che hanno alla margine il frequente segno “.
E s’avverte ancora, che se qualche cosa, si trovasse mal ordinata nel suddetto accorciamento, o con mutazione di parole, o altro in bocca de rappresentanti, ciò deve condonarsi all’assenza dell’autore, stante la quale, vi pose altri le mani.
Si perdonino ancora alcune voci prese con renitenza, per accomodarsi alla scena, ed ove si ritrovavano le parole fato, destino, stella, ed altro, che sembrano scandalose, vien pregato chi legge a distinguere la profession cattolica di chi ha scritto, dall’uso poetico, che richiede questo modo di scrivere.
Atto primo
Scena prima
Riccardo, e Capitan Rodimarte.
RICCARDO
Già siamo in salvo.
CAPITAN RODIMARTE
Ah! Cani!
Questo ad un uom il più temuto, e forte?
Gli potea, con le mani,
squartar così; ma rispettai la corte.
RICCARDO
Hai tu ben risoluto:
più star non si potea chiusi in quel loco.
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