Gli amori d’Apollo e di Dafne

Libretto di Giovan Francesco Busenello
Musica di Francesco Cavalli

Prima esecuzione: carnevale 1640, Teatro San Cassiano, Venezia.

Interlocutori

Prologo
SONNO tenore
PANTO basso
ITATON soprano
MORFEO tenore
Dramma
TITON tenore
AURORA soprano
CIRILLA vecchia contralto
ALFESIBEO baritono
DAFNE soprano
FILENA soprano
CEFALO tenore
APOLLO contralto
PROCRI basso
PENÈO basso
PAN tenore
GIOVE basso
VENERE soprano
AMORE soprano

Coro di Ninfe. Coro delle Muse.

Libretto – Gli amori d’Apollo e di Dafne

Eminentissimo principe,
Un testo dell’immortale Virgilio m’ha persuaso a dedicare a vostra eminenza questi ozii operosi, questi trascorsi di fantasia, incorporati d’inchiostro.
Habitarunt Dii quoque Sylvas,
che se discendevano le deità a deliciare tra le amenità delle selve, tanto dispari alle giocondità dell’Olimpo, non isdegnerà vostra eminenza compiacersi del trivio di questo libro, il quale averà per sommo onore d’esser chiamato un cumulo di caratteri informi, ambiziosi d’uno spirito qualificante, ed eccelso, che li distingua, ed adorni, così che passino dall’essere di atomi, a quello di tollerabili forme.
Augusto per moltiplicare le cui felicità ebbe ad impoverirsi l’abbondanza inesausta della fortuna, quelle stimava essere prospere, ed allegre giornate, nelle quali spogliandosi della sua imperiale grandezza, s’eccedeva come privato negli orti di Pollione.
Quella vasta mole del principato sovrano, che riconosceva per soli confini l’oceano, e le stelle, era da lui depositata per qualche ora in grembo ad una volontaria oblivione; ed egli appartato da sé medesimo respirava tranquillità nella fiorita solitudine d’un giardino.
Vostra eminenza dal cui sovraumano lume ricevono la attività radiante i colori della romana porpora, e che epilogati in sé stessa gl’attributi migliori, merita regnare pregata; non averà in fastidio a qualche ora meno occupata far un passeggio per queste povere capanne, la rusticità delle quali tesaurizzerà a sé propria splendori dalla guardatura cortese d’un grande.
Io ho scritto più per entusiasmo, che per professione. scioperato l’animo nell’aprico solitario d’una diletta villa si è dato ad armonizare i numeri con una silvestre avena.
Vostra eminenza non troverà qui dentro fascicoli di mirra, o lilli delle convalli, o fiori di campi felici. Le olive speciose, i cedri del Libano sono frutti riservati all’idee dell’eminenza vostra, all’auge dei cui intendimenti non arrivano, che fulgori di maestà, e celsitudini di transcendenti.
Io non so veramente se le regole poetiche mi guarderanno col viso arcigno, ma se ogn’uno può vivere a modo suo, quando non vi entri l’offesa di dio, io credo, che parimente ogn’uno possa scrivere come li piace, quando non se ne offenda Apollo.
Ad alcuni piace lo stile latebroso, e recondito,ad altri il lasciviente, e pruriginoso; e come appresso gl’antichi l’attico, l’asiaco, ed il laconico contrastavan del primato, così il moderno liceo sta litigando quale sia lo stile migliore. Ma ogni secolo ha sposata la sua maniera di dire, e di scrivere, e questa è verità notoria a tutti i grandi ingegni, che hanno veduti i libri, ed osservati gli stili.
Vostra eminenza non è invitata qui ad un sorso pieno di questa vena scaturiente, ma insipida, e poco fresca, è puramente supplicata co’ la cortesia del labro a libarne una stilla. Passerà a questo rivolo l’essere guardato da vostra eminenza, e mentre resterà servita l’immagine sua di farsi un’istantaneo specchio di questa umilissima acqua, s’inalzerà il mio nome al più alto punto della felicità.
Si compiaccia il suo animo eroico accettare questa povera oblazione, e farla ricca col gradimento.
La mia antica, lunga, e da lei tante volte blandita servitù supplica, che a questo ambizioso ardimento sia divertito il titolo di peccato. Assai di gloria è proveduto alle ceneri mie se vostra eminenza autenticherà la mia vita per minima serva delle sue grandezze: e profondamente mi umilio a quella porpora, che arde di zelo dell’onor del signor dio.

Di Venezia li 10 Settembre 1656.
Di vostra eminenza
umiliss. e divotiss. servitore
Gio. Francesco Busenello

Argomento
Dafne non intendeva, o non voleva intendere, ciò che fosse amore. Apollo se ne invaghì, e diede opera con le lusinghe, e co’ prieghi acciò che Dafne si rendesse persuasa a compiacerlo; ma riuscitogli vano ogni tentativo si diede per ultimo ad inseguirla, ed essa capitata alle rive del fiume Penèo si trasformò in un lauro. Le altre cose nel presente dramma sono episodi intrecciati nel modo che vedrai; e se per aventura qualche ingegno considerasse divisa l’unità della favola per la duplicità degl’amori, cioè d’Apollo, e Dafne, di Titone, e dell’Aurora, di Cefalo, e di Procri, si compiaccia raccordarsi, che queste intrecciature non disfanno l’unità, ma l’adornano, e si rammenti, che il cavalier Guerino nel Pastor fido non pretese duplicità d’amori, cioè tra Mirtillo, e Amarilli, e tra Sivio, e Dorinda, ma fece, che gli amori di Dorinda, e di Silvio servissero d’ornamento alla favola sua. Gl’ingegni stitici hanno corrotto il mondo, perché mentre si studia di portar l’abito antico, si rendono le vesti ridicole all’usanza moderna. Ognuno abbonda nel suo senso, e io abbondo nel mio, e trovo in me verificata la massima del nostro divino Petrarca.
Ogn’un del suo saper par che s’appaghi.

Prologo

Scena unica
Sonno, Panto, Itaton, Morfeo.

SONNO
Già dell’alba vicina
l’aure precorritrici,
i venticelli amici
fomentano cortesi
la mia placida forza,
e le palpebre umane
(seppelliti i lor moti in dolce oblio)
resister più non ponno
alla soave deità del Sonno.
Questa è l’ora felice
da me più favorita,
in cui godo vedere
dentro un dormir profondo,
la natura sopita.
Poco lunge è la diva,
che sparge a man profusa umide perle.
Poco lunge è la luce,
che per sentier dorato il dì conduce.
Voi miei cari ministri
Panto, Itaton, Morfeo,
mentre vengono i sogni
dalle porte fatali,
servite pronti al vaticinio loro
con le vostre figure,
e con mille apparenze, e mille forme
itene a visitar chi posa, e dorme.

MORFEO
Sonno dio del riposo,
dator della quiete, e della pace,
tutti gli umani volti
io prenderò ben tosto, e com’è l’uso
delle mutanze mie
vaneggerò col sogno avanti il die.

ITATON
Ed io d’augelli, e fere
vestirò le sembianze,
e son pronto a cangiarmi in tante forme,
che non potranno i numeri adeguarle,
e spesso in un oggetto
unirò, mescerò più d’un aspetto.

"Dimmi il mio nome prima dell'alba, e all'alba vincerò"
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