Armida
Dramma per musica.
Libretto di Jacopo Durandi.
Musica di Pasquale Anfossi.
Prima esecuzione: 27 gennaio 1770, Torino, Teatro Regio.
Personaggi
ARMIDA principessa di Damasco amante di | soprano |
RINALDO principe italiano | soprano |
UBALDO uno de’ capitani dell’armata di Goffredo | tenore |
IDRENO re di Damasco, e zio di Armida | soprano |
ZELMIRA figlia del Sultano d’Egitto destinata sposa ad Idreno | soprano |
CLOTARCO principe di Dania, compagno di Ubaldo, amante di Zelmira | soprano |
Comparse di Donzelle persiane e damascene con Armida; Cortigiani, e Famigli con Rinaldo; Donzelle, ed Eunuchi neri con Zelmira; Satrapi, Guardie, e Maghi con Idreno; Soldati europei con Ubaldo.
La scena si finge in Damasco, e nelle sue vicinanze. Il tempo è il giorno dell’arrivo di Ubaldo. L’azione è l’abbandonamento di Armida per la fuga di Rinaldo.
Libretto – Armida
Argomento
Armida principessa di Damasco, a fine d’indebolire l’esercito de’ cristiani, i quali assediavano Gerusalemme, infra altri guerrieri sedusse, e imprigionò Rinaldo. Egli languendo nell’amore più non curavasi della conquista di terrasanta, quando inaspettatamente vi giunse Ubaldo con un’armata di europei sotto di Damasco, per costringerne il re a rimettere in libertà i cristiani guerrieri, e vendicarne i sofferti danni. Ma tentò pria di trattare amichevolmente col re medesimo, il quale dissimulando i nuovi suoi meditati tradimenti, s’infinse di voler adempire le giuste pretese dell’europeo capitano. Intanto questi ebbe agio di parlare a Rinaldo, rimproverargli il vergognoso suo ozio, e persuaderlo a partire. Così nell’animo del valoroso giovine gli stimoli di gloria vinsero le più accorte tenerezze dell’amore.
Però la favola d’Armida, che forma uno de’ migliori episodi della Gerusalemme Liberata, si è nel presente dramma variata così in alcuni caratteri, come nelle sue situazioni, e circostanze, per formarne un’azione sola, regolare, e più verosimile, e ridurla ad unità di luogo, e di tempo; laonde dell’antica favola si trasportò quel solo, che si giudicò più convenevole a dare una qualche novità allo spettacolo, a cagion della quale unicamente s’ideò questo dramma, il di cui intreccio s’intende dal medesimo.
Ballo primo: Amore custode del giardino di Armida
Sopra un cespo di fiori Amore se ne sta dormendo presso la porta del giardino di Armida, e tiene a’ suoi piedi il turcasso, l’arco, la face, e la sua benda.
Le Grazie scherzando vi arrivano, vogliose di entrare nel giardino: osservano Amore, che dorme, e restando meravigliate, e sorprese, e tra di loro consultano, se lo debbano svegliare. Una di esse accenna alle altre le armi di Amore giacenti per terra, e tutte corrono con impazienza a prenderle, e con gioia fra di loro se le dividono.
Intanto Amore si risveglia, vuol ripigliare le sue armi, e si affanna non ritrovandole più: poscia veggendole in mano alle Grazie, corre per loro levargliele, ed esse ridono dello sdegno di Amore, e sono risolute di non rendergli le sue armi.
Egli mostrando loro un mazzetto di fiori, si fa intendere di volerlo donare alla più bella, s’esse gli consegneranno le armi involate: ciascuna ambiziosa di questo vanto, lusingandosi di poterlo meritare, gli consegna ciò, che gli tolse. Amore raccoglie le sue armi, e poi se ne fugge nel giardino.
Le Grazie non avendo potuto arrestar Amore dimostrano il loro rammarico, intrecciando una breve danza: vi giungono i Piaceri portanti ghirlande di fiori, ch’essi regalano alle Grazie, s’uniscono al loro ballo, che termina graziosamente.
Sopraggiungono finalmente le Ninfe insieme ai Piaceri, ch’esse tengono legati co’ loro nastri, e ghirlande, e formano un ballo: Amore si presenta alla porta del giardino in atto di scoccare i suoi strali: le Grazie, e le Ninfe in veggendolo, accorrono per impedirlo: egli domanda loro perdono, ed esse gli formano un trono di fiori, che che si dà fine al ballo.
Ballo secondo: accampamento, ossia la lotteria militare
Giunge per riposarsi nel campo l’equipaggio de’ turchi difeso dalla retroguardia con vari muli carichi di bagaglio.
Un corpo d’infanteria d’Europa viene ad attaccare il campo: al primo incontro l’armata turca fa piegare quei nemici, i quali fuggono, e sono inseguiti dai vincitori. Intanto un corpo di truppe leggere viene a sostenere i fuggitivi, li riunisce, e col fuoco dell’artiglieria si rinnova il combattimento, nel quale i turchi sono perdenti, e depongono le armi.
I vincitori si rendono padroni del campo: il generale ordina a un corpo di truppe di condurgli innanzi i prigionieri: mentre l’armata depone le armi, e il generale va a riposarsi nella sua tenda.
Quindi arrivano al campo parecchi vivandieri, i quali portano viveri all’armata: i soldati lo ricevono con segni di allegrezza: altri banchettano, altri fumano tabacco, altri invitano i vivandieri a ballare, e sono poi interrotti dall’arrivo della sposa del generale a cavallo seguita da’ lacchè, palafrenieri, e da un piccol distaccamento di truppe, il resto prende le armi, ed il generale va all’incontro della sua sposa, la quale scende da cavallo vicino alla tenda del generale, ed il resto della truppa si riposa sulle armi, e molti d’essa ritornano verso le vivandiere.
Si eccita poscia una contesa tra i soldati, e si battono: i vivandieri tentano pacificarli, e in questo mentre il generale esce della sua tenda, per intendere il motivo della zuffa: allora tutti depongono le armi, e vanno a ragguagliarne il generale, il quale accenna doversi decidere colla sorte la contesa, e tutti dimostrano di acquietarsene.
Si apportano gli strumenti della sorte: ciascuno prende posto, e se ne sta impaziente ad aspettare il suo destino. Coloro, i quali vincono la sorte, presentano un mazzetto di fiori a colei, che loro fu destinata, e ne dimostrano contentezza. Il generale ordina poscia, che vi si chiami chi registri il contratto.
Compare la persona richiesta, che distende il contratto, il quale vien poi sottoscritto dagli sposi, che circondano il medesimo, e danno dimostrazione del lor piacer coll’intreccio di un ballo, che termina ringraziando con molti inchini la persona suddetta, ed altresì tutta l’armata dimostra agli sposi il suo contento con un concerto generale seguitato da molte danze, e da una contraddanza militare.
Ballo terzo: di furie
Armida veggendosi finalmente abbandonata da Rinaldo, si dà in preda al furore, e domanda in suo soccorso le Furie, commette alle medesime la sua vendetta.
La forza delle sue invocazioni attrae i demoni ministri del suo volere: essa impone loro di distruggere il suo palazzo, e di ridurlo in cenere, e quelli subito rompono le loro catene e corrono ad ubbidirla.
In questo mentre si apre la terra, vi esala una fiamma, in mezzo alla quale appaiono l’Odio, la Vendetta, e la Disperazione armate di faci, che distribuiscono agli altri demoni, i quali corrono a rovinare il Palazzo. Armida ascende sul carro, attraversa il teatro, e le Furie eseguiscono il ballo, che termina l’opera.
Atto primo
Scena prima
Gran sala nella reggia di Damasco ornata di trofei militari, destinata per le adunanze del real consiglio, illuminata in tempo di notte; trono da un lato con gradinata ricoperta di ricchi tappeti, cuscini all’intorno per li Satrapi.
Armida, e Rinaldo.
RINALDO
Ah taci, o principessa: i tuoi sospetti
mi trafiggono il cor! Son poche prove
della mia fé quell’adorar costante
l’impero de’ tuoi rai,
soffrir miei lacci, e non lagnarmi mai,
divider teco i miei pensieri, e poi
sin ridurmi a pensar co’ pensier tuoi?
Non più trionfi, ed armi
son le cure mie: per te d’amore
solo imparo a languir, né mai dal dolce
piacevol sonno, in cui sepolto io sono,
delle vittorie altrui mi desta il suono.
Dunque temer non déi…
ARMIDA
Non pentirti, idol mio, d’esser qual sei.
So, che tu m’ami: ho mille
prove dell’amor tuo: non dubitai
della tua fé giammai: però mi piace
sentir replicar, che Armida sola
è il caro ben, cui d’ottener tu brami,
da te sentirmi a replicar, che m’ami.
Assai n’ho d’uopo adesso
della tua fedeltà. No, non a caso
in questa notte è tutta
in tumulto la reggia. O qualche inganno
si medita a mio danno, o son sconfitte
le sirie squadre, e dome.
Se m’abbandoni…
RINALDO
Abbandonarti? Ah come?
Io, che per te sol vivo! Io, ch’odierei,
come sorte per me troppo nemica,
il racquistar la libertade antica!
ARMIDA
Protetta io sono, il vedo,
dal tuo amore abbastanza. Io sfido altera
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