Il ballo delle ingrate

Balletto semi-drammatico

Testo di Ottavio Rinuccini
Musica di Claudio Monteverdi

Prima rappresentazione alle nozze di Francesco Gonzaga, erede del trono ducale di Mantova con Margherita, infante di Savoia, 1608, a Mantova.

Stampato nel Ottavo libro dei Madrigali, Venezia, 1638

Interlocutori
Amore, Venere e Plutone
Quattro Ombre d’Inferno
Otto Anime Ingrate che ballano

Strumenti
Cinque Viole da brazzo
Clavicembalo e Chitarrone,
li quali istrumenti si radoppiano secondo
il bisogno della grandezza del loco
in cui devisi rapresentare.

Libretto – Il ballo delle ingrate

Aveva il Duca stabilito di rappresentar quella sera del mercoledì [4 giugno 1608] nel Teatro della Comedia, un balletto di molto bella invenzione, opera del Sig.r Ottavio Rinuccini, nel quale interveniva il Duca e il Prencipe sposo con sei altri cavalieri e con otto dame delle principali della città così in nobiltà come in bellezza ed in leggiadria di ballare, talché in tutto adempivano il numero di sedici. Perloché ragunatisi colà dentro i prencipi, le principesse, gli ambasciatori e le dame, e quella nobiltà che poté capire il luogo, si collocarono ne’ gradi che, formando un mezzo cerchio dalla parte del teatro opposta al fianco, s’ergevano dal basso fino alla sommità di esso, lasciando vuoto quel piano di mezzo, ch’è tra la scena e detti gradi, per il facimento del balletto.

In quella parte di muro, che dalla destra parte del teatro è fra il confin de’ gradi e la scena, era un gran palco dove furono collocati i gentiluomini degli ambasciatori, e dirimpetto a quello se ne vedeva un altro di forma eguale, in cui stava un gran numero di musici con istromenti diversi da corda e da fiato.

Or poiché furono colà dentro tutti agiatamente accomodati, dato il segno con uno strepito spaventoso sotto il palco di tamburi discordati, s’alzò la tela con quella velocità mirabile con cui alzossi nella Comedia, e nel mezzo del palco si vide una gran bocca di un’ampia e profondissima caverna, la quale, stendendosi oltre i confini della prospettiva, pareva che andasse tanto in là che non potesse giunger umana vista per iscoprirne il fine.

Era quella caverna circondata dentro e d’intorno d’ardente fuoco, e nel più cupo di essa, in parte assai profonda e lontana dalla sua bocca, si vedeva una gran voragine, dentro alla quale ruotavano globi d’ardentissime fiamme, e per entro ad essa innumerabil mostri d’Inferno, tanto orribili e spaventosi, che molti non ardirono di fissar colà dentro il guardo. Parve cosa orrenda e mostruosa il veder quella infernal voragine piena di tanto fuoco e d’immagini così mostruose; ma ben fece maravigliar più le genti il veder dinanzi a quella infocata bocca dalla parte di fuori, dove risplendeva una certa poca luce caliginosa e mesta, la bella Venere, ch’aveva per mano il suo bel figlio Amore, la quale al suono di dolcissimi stromenti ch’erano dietro alla scena, cantò con voce molto soave gl’infrascritti versi in dialogo con Amore.

AMORE
De l’implacabil Dio
Eccone giunt’al Regno,
Seconda, O bella Madre, il pregar mio.

VENERE
Non tacerà mia voce
Dolci lusinghe e prieghi
Finche l’alma feroce
Del Re severo al tuo voler non pieghi.

AMORE
Ferma, Madre, il bel piè, non por le piante
Nel tenebroso impero,
Che l’aer tutto nero
Non macchiass’il candor del bel sembiante:
Io sol n’andrò nella magion oscura,
E pregand’il gran Re trarotti avante.

VENERE
Va pur come t’agrada. Io qui t’aspetto,
Discreto pargoletto.
(Sinfonia)

Finite ch’ebbe Venere queste ultime parole, Amore se n’entrò tutto ardito entro quella profonda voragine, passando tra fuochi e fiamme senza patir alcuna offesa; e intanto Venere, volgendosi agli spettatori e riguardando le dame che gli erano a fronte, cantò di questa maniera:

Udite, Donne, udite! I saggi detti
Di celeste parlar nel cor servate:
Chi, nemica d’amor, nei crudi affetti
Armerà il cor nella fiorita etate,
(Sinfonia)
Sentirà come poscia arde a saetti
Quando più non avrà grazia e beltate,
E in vano risonerà, tardi pentita,
Di lisce e d’acque alla fallace aita.

Sul fine del suo bel canto, si vide uscir dalla parte destra di quella orribile caverna Plutone, in vista formidabile e tremenda, con abiti quali gli sono attribuiti da’ poeti, ma però carichi d’oro e di gioie; il quale, venendonese con Amore dinanzi a Venere, parlò cantando in questa guisa, rispondendosi e replicandosi l’un l’altro come segue:

PLUTONE
Bella madre d’Amor, che col bel ciglio
Splender l’Inferno fai sereno e puro,
Qual destin, qual consiglio
Dal ciel t’ha scorto in quest’abisso oscuro?

VENERE
O de la morte innumerabil gente
Tremendo Re, dal luminoso cielo
Traggemi a quest’orror materno zelo:
Sappi che a mano a mano
L’unico figlio mio di strali e d’arco
Arma, sprezzato arcier, gli omer e l’ali.

PLUTONE
Chi spogliè di valore l’auree saette
Che tante volte e tante
Giunsero al cor de l’immortal Tonnante?

VENERE
Donne, che di beltate e di valore
Tolgono alle più degne il nome altero,
Là, nel Germano Impero,
Di cotanto rigor sen van armate,
Che di quadrell’aurate
E di sua face il foco
Recansi a scherzo e gioco..

PLUTONE
Mal si sprezza d’Amor la face e’l telo.
Sallo la terra e’l mar, l’inferno e’l cielo.

VENERE
Non de’ più fidi amanti
Odon le voci e i pianti.
Amor, Costanza, Fede
Non pur ombra trovar può di mercede.
Questa gli altrui martiri
Narra ridendo. E quella
Sol gode d’esser bella
Quando tragge d’un cor pianti e sospiri.
Invan gentil guerriero
Move in campo d’honor, leggiadro e fiero.
Indarno ingegno altero
Freggia d’eterni carmi
Beltà che non l’ascolta e non l’aprezza.
Oh barbara fierezza!
Oh cor di tigre e d’angue!
Mirar senza dolore
Fido amante versar lagrime e sangue!
E per sua gloria, e per altrui vendetta
Ritrovi in sua faretra Amor saetta!

PLUTONE
S’invan su l’arco tendi
I poderosi strali,
Amor che speri, e che soccorso attendi?

AMORE
Fuor de l’atra caverna
Ove piangono invan, di Speme ignude,
Scorgi, Signor, quell’empie e crude!
Vegga, vegga sull’Istro
Ogni anima superba
A qual martir cruda beltà si serba!

PLUTONE
Deh! Chi ricerchi, Amor!
Amor, non sai che dal carcer profondo
Cale non è che ne rimeni al mondo?

AMORE
So che dal bass’Inferno
Per far ritorno al ciel serrato è il varco.
Ma chi contrasta col tuo poter eterno?

PLUTONE
Saggio signor se di sua possa è parco.

VENERE
Dunque non ti rammenti
Che Proserpina bella a coglier fiori
Guidai sul monte degli eterni ardori?
Deh! Per quegli almi contenti,
Deh! Per quei dolci amori,
Fa nel mondo veder l’ombre dolenti!

PLUTONE
Troppo, troppo possenti
Bella madre d’Amore,
Giungon del tuo pregar gli strali al cuore!
Udite! Udite! Udite!
O dell’infernal corte
Fere ministre, udite!

Al chiamar di Plutone, uscirono di quella caverna molte Ombre orribili e mostruose, che versavano fiamme da varie parti con molto terrore altrui; e presentateglisi avanti con voce orrenda, ma però armoniosa, dissero:

OMBRE D’INFERNO
Che vuoi? Ch’imperi?

PLUTONE
Aprite aprite aprite
Le tenebrose porte
De la prigion caliginosa e nera!
E de l’Anime Ingrate
Trahete qui la condannata schiera!

Mentre quell’Ombre crudeli andarono ad eseguir la mente di Plutone ed a condur fuori la condannata schiera delle Donne Ingrate che doveva fare il balletto, Venere, rivolta inverso Plutone, cantò i seguenti versi:

VENERE
Non senz’altro diletto
Di magnanimi Regi
Il piè porrai ne l’ammirabil tetto!
Ivi, di fabri egregi
Incredibil lavoro,
O quanto ammirerai marmorii fregi!
D’ostro lucent’ e d’oro
Splendon pompose le superbe mura!
E per Dedalea cura,
Sorger potrai tra l’indorate travi,
Palme e trionfi d’innumerabil Avi.
Ne minor meraviglia
Ti graverà le ciglia,
Folti Theatri rimirando e scene,
Scorno del Tebro e de la dotta Atene!

Appena ebbe Venere fornite queste parole, ch’Amore scorse per entro quella caverna comparir quelle infelici, onde rivolgendosi alla madre, quasi che si turbasse di quella miserabile vista, gliele additò, affrettandola alla partita col canto delle seguenti parole:

Qui incominciano apparire le Donne Ingrate,
et Amore e Venere così dicono:

AMORE E VENERE
Ecco ver noi l’adolorate squadre
Di quell’alme infelici. Oh miserelle!
Ahi vista troppo oscura!
Felici voi se vi vedeva il fato
Men crude e fere, o men leggiadre e belle!
Plutone rivolto verso Amore e Venere così dice:

PLUTONE
Tornate al bel seren, celesti Numi!
Rivolto poi all’Ingrate, così segue:

PLUTONE
Movete meco, voi d’Amor ribelle!
Con gesti lamentevoli, le Ingrate a due a due
incominciano a passi gravi a danzare la presente entrata,
stando Plutone nel mezzo, camminando a passi naturali e gravi.
Giunte tutte al posto determinato,
incominciano il ballo come segue.
(Sinfonia)
Danzano il ballo sino a mezzo;
Plutone si pone in nobil postura,
rivolto verso la Principessa e Damme, così dice:

PLUTONE
Dal tenebroso orror del mio gran Regno
Fugga, Donna, il timor dal molle seno!
Arso di nova fiamma al ciel sereno
Donna o Donzella per rapir non vegno.
E quando pur de vostri rai nel petto
Languisce immortalmente il cor ferito,
Non fora disturbar Plutone ardito
Di cotanta Regina il lieto aspetto.
Donna al cui nobil crin non bassi fregi
Sol pon del Cielo ordir gli eterni lumi,
Di cui l’alma virtù, gli aurei costumi
Farsi speglio dovrian Monarchi e Regi.
Scese pur dianzi Amor nel Regno oscuro.
Preghi mi fè ch’io vi scorgessi avanti
Queste infelici, ch’in perpetui pianti
Dolgonsi invan che non ben sagge furo.
Antro è la giù, di luce e d’aer privo,
Ove torbido fumo ogni hor s’aggira:
Ivi del folle ardir tardi sospira
Alma ch’ingrata hebbe ogni amante a schivo.
Indi le traggo e ve l’addito e mostro,
Pallido il volto e lagrimoso il ciglio,
Per che cangiando homai voglie e consiglio
Non piangete ancor voi nel negro chiostro.
Vaglia timor di sempiterni affanni,
Se forza in voi non han sospiri e prieghi!
Ma qual cieca ragion vol che si nieghi
Qual che malgrado alfin vi tolgon gli anni?
Frutto non è di riserbarsi al fino.
Trovi fede al mio dir mortal beltate.
Poi rivolto al Anime Ingrate, così dice:
Ma qui star non più lice, Anime Ingrate.
Tornate al lagrimar nel Regno Inferno!
Qui ripigliano le Anime Ingrate la seconda parte
del Ballo al suono come prima,
la qual finita Plutone così gli parla:
Tornate al negro chiostro,
Anime sventurate,
Tornate ove vi sforza il fallir vostro!
Qui tornano al Inferno al suono della prima entrata,
nel modo con gesti e passi come prima,
restandone una in scena, nella fine facendo il lamento
come segue; e poi entra nell’Inferno:

UNA DELLE INGRATE
Ahi troppo Ahi troppo è duro!
Crudel sentenza, e vie più crude pene!
Tornar a lagrimar nell’antro oscuro!
Aer sereno e puro,
Addio per sempre! Addio per sempre,
O cielo, o sole! Addio lucide stelle!
Apprendete pietà, Donne e Donzelle!

CORO DELLE INGRATE
Apprendete pietà, Donne e Donzelle!

UNA DELLE INGRATE
Al fumo, a gridi, a pianti,
A sempiterno affanno!
Ahi! Dove son le pompe, ove gli amanti!
Dove, dove sen vanno
Donne che si pregiate al mondo furo?
Aer sereno e puro,
Addio per sempre! Addio per sempre,
O cielo, o sole! Addio lucide stelle!

CORO DELLE INGRATE
Apprendete pietà, Donne e Donzelle!