La catena d’Adone

Favola boschereccia

Libretto di Ottavio Tronsarelli
Musica di Domenico Mazzocchi

Prima esecuzione: 12 febbraio 1626, Roma, Palazzo Conti.

Interlocutori:

APOLLO tenore
FALSIRENA maga soprano
IDONIA consigliere di Falsirena soprano
ADONE contralto
ORASPE governatore de’ luoghi di Falsirena tenore
ARSETE consigliere di Falsirena basso
PLUTONE basso
VENERE soprano
AMORE soprano
ECO contralto

Ciclopi ministri di Vulcano. Coro di Ninfe e Pastori. Ballarini.

Libretto – La catena d’Adone

All’illustrissimo…
…e eccellentissimo signore padron mio colendissimo, il signor Giovan Giorgio Aldobrandino principe di Rossano.
Apollo dio della luce par, ch’in sul mattino non sappia apparire all’altrui vista, se non ha per iscorta lucidi raggi di purissima stella; e il mio Apollo sdegna, che da altri fia rimirato, se non porta in fronte il chiaro splendore delle sue nobilissime stelle. Io, mentre tentai l’impresa de questa opera, ebbi sempre inanzi a gli occhi le virtù di v. e., e stimai pronto l’aiuto delle muse, ove era presente sì gran lume di poesia. Or, che dunque con questa prova del mio ingegno devo palesarmi al mondo, gloriosamente ambizioso a lei ricorro, e se gli antichi, ne’ luoghi da consacrarsi, in segno di riverenza solevano affiger le stelle, io non con altro segno che delle sue famose stelle cerco, che la mia favola all’immortalità si consacri. Perciò offero a v. e. con La catena d’Adone quella della mia servitù; e, se l’una ebbe Apollo per suo inventore, l’altra si vanti, d’aver meritato nuovo Apollo per suo signore. A questa mia Catena fia chiaro cielo d’onore il campo sereno delle sue stelle, le quali tanto di fama, e di gloria le aggiungano, quanto in sé hanno di splendore, e di virtù; ch’io per tanto, con ammirar le grandezze di v. e., umilmente me le inchino.

Di Roma nel dì 30 di marzo 1626.
Di v. e.
umilissimo e devotissimo servitore
Ottavio Tronsarelli

Ai lettori
Questa favola descritta nel poema del cavalier Marino a voi s’appresenta sparsa di pensieri, e ripiena d’affetti; alterata però con invenzioni dal signor Ottavio Tronsarelli, e ristretta nel termine d’un giro di sole; tra lo spazio di brevissimi giorni composta, e con non minore velocità di tempo d’alcune macchine abbellita, e mirabilmente rappresentata nel palazzo dell’illustrissimo sig. marchese Evandro Conti; non riempita da importuna lunghezza di vani intermedi, che, alienando le menti de gli uditori, non adornano, ma adombrano le azioni, ordinata con singolare accortezza dal signor Francesco de Cuppis, dalle note squisite del signor Domenico Mazzocchi raddolcita, e da rare voci di famosissimi cantori sommamente onorata. Testimonio d’ogni mio detto sono i principi, e le principesse di Roma, che con lo splendore della loro presenza illustrarono il teatro di questa nobil favola, ove comparve l’Invidia, e al favorevol suono dell’amico Plauso in sé cadde, e tacque.
Avvertimento.
Le voci stelle, fato, fortuna, dèi, e simili poeticamente espressi, devono essere cattolicamente interpretate, e la favola, che nelle persone è profana, nell’allegoria è cristiana.

Argomento della favola
Adone, fuggendo lo sdegno di Marte, arriva tra rozzi boschi, antiche abitazioni della maga Falsirena, dove ella di lui s’innamora; con apparenza di giardini l’alletta, con una catena incantata il ritiene, con preghiere il persuade, e con forza l’assale. Ma nulla giova al temerario desiderio. Onde la maga con accortezza giudica, ch’egli abbia il cuor acceso dell’amore d’altra donna. Però invoca Plutone, per saper da lui, chi sia la sua rivale, e inteso, ch’era Venere, in virtù dell’arte magica prende l’aspetto della dèa, e si presenta inanzi al travagliato Adone, il quale la stima per la sua amata Venere; e mentre presta fede a tal menzogna, in aria apparisce la vera Venere, che già aveva placato lo sdegno di Marte, scopre al caro Adone gl’inganni della falsa dèa, e per castigo fa, ch’ella da Amore sia legata ad uno scoglio con l’istessa catena, che aveva stretto l’incantato garzone. Poi Venere, Adone, e Amore tornando al loro albergo, e cantando la lor vittoria, riempiono di concento i campi, e di contento i cuori.

Allegoria della favola
Falsirena da Arsete consigliata al bene: ma da Idonia persuasa al male, è l’anima consigliata dalla ragione: ma persuasa dalla concupiscenza. E come Falsirena a Idonia facilmente cede, così mostra, ch’ogni affetto è dal senso agevolmente superato. E se finalmente a duro scoglio è legata la malvagia Falsirena, si deve anco intendere, che la pena al fine è seguace de la colpa.
Adone poi, che lontano dalla deità di Venere patisce incontri di vari travagli, è l’uomo, che lontano da dio incorre in molti errori. Ma come Venere, a lui ritornando, il libera d’ogni affanno, ed ogni felicità gli apporta, così iddio, dopo ch’a noi ritorna co ‘l suo efficace aiuto, ne fa avanzare sopra i danni terreni, e ne rende partecipi delli piaceri celesti.

Prologo

Scena unica
Apollo, Ciclopi.
Argomento.
Viene Apollo sopra una nuvola; espone, chi egli sia, e come tra Venere, e lui son nate gravissime cagioni d’odio, e si duole, ch’ella intanto si viva lieta dell’amore d’Adone. Però scende nel piano d’una scena, che rappresenta ombroso bosco, e determina d’andare all’antro di Vulcano marito di Venere, e di scoprirgli quest’amore, e far da lui fabbricare una catena di tempre divine, per imprigionare il garzone, e tenerlo lontano da Venere, e in tal guisa egli offender la dèa, e Vulcano vendicarsi d’Adone. S’apre la prospettiva, e si muta nella grotta di Vulcano, dove si scorgono i Ciclopi, che, battendo le saette a Giove, cantano allegra canzone. Apollo entra. La grotta si chiude, e ritorna la prospettiva con aspetto boschereccio.

[Aria recitativa di sei parti]

APOLLO
De’ puri campi regnator lucente
abbandono del ciel la via serena,
e scendo a l’altrui danno, a l’altrui pena
nume più d’odii, che di raggi ardente.
Già scopersi a Vulcan l’occulte frodi
de l’impura d’Amor madre fallace,
e con lei vidi entro prigion tenace
il dio del ferro avvinto in ferrei nodi.
Ond’io, che disvelai la colpa antica,
provo ogni or contro me folgori d’ira;
ed ella intanto per Adon sospira
ad ogni altro gioconda, a me nemica.
Or, che fugge il garzon gli altrui furori,
ver l’antro di Vulcan drizzo le piante,
e d’odii vago, e di vendette amante,
se baleno splendor, fulmino orrori.
Vuò, che con tempre sovr’umane, e nove
Vulcano in aurei nodi Adon ravvolga,
e da l’amor di Venere il ritolga
laccio famoso d’incantate prove.
Cessi per me con miserabil gioco
ogni cara tra lor gioia gradita;
poi che giusto mi par, che porga aita
il dio de lo splendore al dio del foco.

[Aria a 3]

CICLOPI
Le saette
sovr’i rei
son vendette
degli dèi:
ma tra noi
più n’accende,
più n’offende
l’empio Amor co i dardi suoi.
Le facelle
son ardenti,
le fiammelle
son cocenti:
ma ne’ cori
più sfavilla,
più scintilla
l’aspro Amor co i suoi furori.

"Dimmi il mio nome prima dell'alba, e all'alba vincerò"
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