La straniera

Melodramma

Libretto di Felice Romani
Musica di Vincenzo Bellini

Prima esecuzione: 14 febbraio 1829, Milano, Teatro alla Scala.
Video dell’opera

Personaggi

ALAIDE (la straniera) soprano
Il signore di MONTOLINO basso
ISOLETTA di lui figlia, fidanzata a mezzosoprano
ARTURO conte di Ravenstel tenore
Il barone di VALDEBURGO baritono
IL PRIORE degli Spedalieri basso
OSBURGO confidente di Arturo tenore

Cori e Comparse. Dame e Cavalieri – Gondolieri e Pescatrici – Spedalieri – Cacciatori – Guardie – Vassalli di Montolino.

L’azione è in Brettagna nel castello di Montolino e nei dintorni. L’epoca è del 1300 circa.

Libretto – La straniera

Avvertimento
Sebbene il romanzo da cui tolsi il soggetto del presente melodramma, sia noto abbastanza al più dei lettori, nulladimeno mi sia permesso di presentarne un certo qual sunto per chiarir l’antefatto, il quale avrebbe richiesta una protasi, se non impossibile a farsi, difficilissima certo in un componimento per musica.
Un cortigiano del duca di Pomerania avea promessa alla bella Agnese, figliuola del suo signore, di ottenerle la mano di Filippo Augusto, re di Francia, dov’essa li consegnasse un anello, una ciocca de’ suoi capelli e il suo ritratto. L’incauta Agnese prestossi a cotanto raggiro, e in fatti divenne sposa di Filippo, il quale ripudiò Isamberga, principessa di Danimarca, a ciò spinto, dicono gli storici di quei tempi, da inesplicabile avversione: imperocché la notte istessa del suo matrimonio fuggito era dalla stanza nuziale, tutto spaventato e compreso d’orrore. Colpito d’anatema il re di Francia, dovette ripigliare la prima sposa. Agnese, bandita da Parigi, fu rilegata in Brettagna nel castello di Karency, ove Filippo comandava che trattata fosse da regina, anzi vi spediva in segreto Leopoldo, principe di Merania, fratello di lei, per invigilare sulla sua sicurezza, il quale stabilivasi nei dintorni sotto il nome di barone di Valdeburgo. Ma la misera Agnese, noiata della sua pomposa prigione, approfittando del divieto avuto di lasciarsi vedere da chicchessia, lasciò nel castello un’amica che molto le somigliava, e ritirossi in una capanna solitaria presso il lago di Montolino a piangere in libertà la sua colpa e le sue sventure. Quivi pure, perseguitata dal suo tristo destino, non poté trovar pace; imperocchè i rozzi abitanti dei dintorni vistala fuggire ogni consorzio, andar coperta da un velo e gemere nei luoghi più deserti, presero a temerla qual fattucchiera, e a crederla tale: di maniera che invogliarono di conoscerla il conte Arturo di Ravenstel, discendente dagli antichi principi di Brettagna, giovane ardentissimo, il quale s’innamorò perdutamente di lei, e deliberò di sposarla, sebbene già fidanzato ad Isoletta, figliuola del signore di Montolino. Le conseguenze di questo amore formano il nodo dell’azione, e in essa, io spero, appariranno chiaramente, ad onta degli ostacoli che mi si fecero innanzi in un soggetto così fantastico, e più di tutto a malgrado dell’impostami necessità di non troppo discostarmi dall’intenzione del romanziere.
Felice Romani

Atto primo

Scena prima
Atrio del castello di Montolino: di fronte il lago, e al di là del lago, veduta del villaggio illuminato.
(Quanto si vede indica che si sta celebrando una festa. Si festeggia infatti l’anniversario in cui la Brettagna è stata restituita dagl’Inglesi a Filippo Augusto, e il vicino matrimonio d’Isoletta di Montolino con Arturo di Ravenstel.)
Il lago è sparso di navicelle addobbate e illuminate. Odesi da lontano una lieta armonia e festose voci di applauso. A poco a poco si sente distinto il canto; ed ora da una, ora dall’altra navicella, uomini e donne cantano le seguenti strofe a Coro.

CORO
I (di uomini)
Voga, voga, il vento tace,
splendon gli astri in cielo azzurro;
sol col placido sussurro
bacia i lidi il dolce umor.
Voga, voga: è l’alma pace
messaggera dell’amor.
I (di donne)
O castel di Montolino
dell’amor sei già soggiorno;
quando spunti il nuovo giorno
lo sarai d’imene ancor.
Voga, voga: egli è vicino
di due cori a fare un cor.
II (di uomini)
Lievi, lievi in sen del lago
tuffan l’ali amiche aurette;
e la luna vi riflette
il suo placido splendor.
Voga, voga: ell’è l’imago
d’innocente e casto ardor.
II (di donne)
A noi reca un’aura pura
l’olezzar del suol fiorente:
al romor della corrente
mesce il lido il suo romor.
Voga, voga: è la natura
che si desta, e sente amor.

Scena seconda
Valdeburgo e Isoletta.

VALDEBURGO
Trista e pensosa, mentre a te d’intorno
tutto sorride, abbandonar sì tosto,
Isoletta, puoi tu la nobil festa
che delle nozze tue precede il giorno?

ISOLETTA
Col cuor trafitto dalla festa io torno:
sì, Valdeburgo, a te d’Arturo amico,
a te pietoso cor tutto io confido
le segrete mie pene.
Gioia da questo imene
più sperar non poss’io… cambiato è Arturo,
crudelmente cambiato… Un altro oggetto
su quell’anima ardente arbitro impera.

VALDEBURGO
Altro oggetto! E il sai tu?

ISOLETTA
Sì: la Straniera.

VALDEBURGO
Che dici? Ignota donna,
raminga, errante e da ciascun fuggita,
preporre a te, spirto gentile e raggio
d’innocenza e beltà? Deh! Non pensarlo,
vano sospetto ei fia.

ISOLETTA
Fatto, ahi! Fatto è certezza all’alma mia…
(dopo aver guardato intorno, prende Valdeburgo con precauzione, e gli dice)
Io la vidi.

VALDEBURGO

"Dimmi il mio nome prima dell'alba, e all'alba vincerò"
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