La Statira

Dramma per musica

Libretto di Giovan Francesco Busenello
Musica di Francesco Cavalli

Prima esecuzione: 18 gennaio 1655, Venezia, Teatro Santi Giovanni e Paolo.

Interlocutori

DARIO re di Persia basso
STATIRA figliola del re di Persia soprano
CLORIDASPE re d’Arabia mezzosoprano
TERSANDRO consigliere del re Dario soprano
NICARCO generale del re d’Arabia basso
VAFFRINO servo di Nicarco tenore
Usimano, principe d’Egitto sotto nome d’ ERMOSILLA damigella di Statira soprano
Lindaura, sorella del re d’Arabia, sotto nome di FLORALBA damigella di Statira soprano
BRIMONTE generale di Dario contralto
ELISSENA vecchia tenore
BIRSANTE tenore
Indiano, SERVO di Tersandro altro
MERCURIO tenore
PLUTONE basso
MESSO soprano
MAGA soprano

Libretto – La statira

Illustrissimo, ed eccellentissimo signor

Vostra eccellenza, che gradì benignamente la mia obbedienza ad un comando suo nel dramma della mia «Poppea» (già tredici anni sono) ora resterà servita di gradir l’ossequio mio continuato a’ suoi comandi nel dramma della «Statira».
Chi scrive per ubbidire, merita con gli errori non meno, che con le perfezioni; la gloria dell’obbedienza ha quest’indulto dalla vita civile, di seppellire in lume tutte le macchie d’una imperfetta penna: e non avendo la mia, pur troppo dispare alle moderne idee di chi scrive felicemente altro per fine, che di servire con esatta puntualità a vostra eccellenza, niente m’importa di demeritare gli applausi: assai ho meritato eseguendo i comandi suoi.
Povero stile, ch’è discosto dall’essere, non che dal meritare non osa mendicare, non che ambire le laudi. Sta ristretto ne’ suoi logori panni; tiene in prospettiva la sua bassezza: una scusa cortese, una pietà urbana adempie di sovrabbondanza le sue umilissime pretenzioni; un occhio benigno lo arricchisce, una anco finta apparenza di soddisfazione lo beatifica.
Questa opera se piace a v. e. possiede il vantaggiato rimarco del prezzo suo; questo inchiostro si valuta per balsamo, se ella lo accetta per gradimento. E il rassegnarmi, e restringermi al solo compiacimento di vostra eccellenza è un grand’interesse di mia riputazione; perché se quello, che piace a’ principi, per testimonio de’ giurenconsulti, ha vigore di legge, quello che piace a’ padroni, goderà certo senza controversia il titolo di bontà almeno.
La mia povertà d’invenzione, e di elocuzione, m’assicura dall’invidia, non così dalla detrazione. Ma se l’ombre sole delle statue de’ cesari erano asili di sicurezza alle genti, l’ombra nobile di vostra eccellenza, che merita statue mi francherà da ogni oltraggio; i semplici caratteri del suo riverito nome fanno la salvaguardia in casa, e ‘l passaporto ne’ viaggi alla mia modestissima musa.
Al cenno de’ grandi amabile imperio, che unisce alla soavità l’efficacia, è intemperanza di costume il disobbedire; per tanto io mi fo a credere, che vostra eccellenza da me ubbidita, si compiacerà di esser tutela, e sicurezza alle mie povere scritture.
Ho pattuito strettamente, e legalmente con le mie proprie obbligazioni; che elle non pretendano mai di punto diminuirsi per qualsi voglia atto d’ossequio a vostra eccellenza; e però con il mio servirla di questo dramma, non derogo, e non pregiudico in minima parte agl’obblighi, che sempre più religiosamente le professo. Scrivendo, o no, esercito verso di lei la mia servitù. L’ozio, e l’opera, sono egualmente contrassegni della mia devozione; il respirare a me stesso, e il servire a vostra eccellenza, sono atti promiscui della mia vita, e della mia obbligazione.
Se questa fatica, e ricreazione mia, incontrerà nel genio cortese della maggior parte, doverà riconoscere quest’onorato vantaggio, e confessare questo beneficio illustre della vaghezza delle scene, dalla frequenza delle mutazioni, dalla ricchezza degli abiti, dall’abbondanza sontuosa delle comparse, dall’isquisitezza de’ musici, che vostra eccellenza ha fatti venir dal cielo, e dalla virtù sopra ammirabile del signor Cavalli; il quale convertiti in tanti numeri armonici i muti sensi de’ versi miei, e vestiti da idee i difetti, ha imitati i miracoli della creazione, di niente, far tutto; vostra eccellenza è tale, che de’ virtuosi cantanti, che la servono, si possono dire cose molto maggiori: la riputazione del suo teatro rende celebri le voci, e famosi i professori di musica: a la grandezza del di lei merito, e della sua fortuna, sono le meraviglie, trivialità, i miracoli, consuetudine.
Avrei scritto più diffusamente in questo dramma, ed uniti gli spiriti a sollevare a qualche grado lo stile, se la comandata brevità, e la proprietà della scena me ne avessero data licenza. Altro è comporre una ode, ovvero un sonetto, ove è permesso l’entusiasmo al pensiero, e l’estasi all’ingegno nell’eccitare gli aculei dolci agl’orecchi, ed il brillo lascivo nel cuore con l’invenzione d’una chiusa blandiente, e spiritosa; altro è comporre un dramma, ove i personaggi han correggi, parlano familiarmente, e se la vena troppo s’innalza perde il decoro, e la vera proprietà.
Eccedo i limiti d’una morigerata lettera, e spando me stesso fuori del continente del buon costume. A v. e. m’umilio, e la supplico credere, che io ho conseguito il mio fine, perché la ho servita come ho potuto, e saputo, e mi riconfermo eternamente di vostra eccell. umilissimo e divot. serv.
Gio. Francesco Busenello.
Di Venezia li 18 gennaio 1655.

Argomento
Il re d’Armenia, collegato con altri principi d’Asia, in un conflitto sanguinosissimo, che ebbe con Dario re di Persia, gli rubò la moglie Parisatide, e la figliuola Statira.
Cloridaspe giovane re d’Arabia innamorato di Statira, urtò violentemente gli armeni, e recuperò Statira, e sua madre dalle mani nemiche, e le condusse libere in mano a Dario.
Egli gratissimo al re d’Arabia, per tanto beneficio ricevuto, e che in quel fatto della recupera di Statira aveva rilevate ferite mortali, lo diede in custodia, e governo a Statira medesima, che lo curò, e medicò con balsami ammirabili, e lo guarì nell’appartamento del regio giardino.
Ma l’occasione maestra de’ lenocini, fece, che come l’arabo era acceso della principessa, così ella s’invaghisse di lui a’ ferventissimi segni. E qui comincia l’opera.
Nella quale:
Statira donna, e giovane, e per conseguenza indocile al tacere, confidò questo suo amore con una damigella, che si faceva chiamare Ermosilla; ma in fatti era Usimano principe d’Egitto, che innamorato per fama di Statira, era venuto in Persia in abito di donzella, e serviva alla principessa.
Usimano adunque intesi gli amori di Statira con l’arabo, s’accende di gelosia, e d’ira contro di lui, e questa ira è l’inviluppo di tutto il dramma; che resta poi sciolto da quella serie d’accidenti che vedrai.
Floralba altra donzella di Statira innamorata del re arabo, si scopre finalmente di essere di lui sorella, e divien moglie di Usimano, come Statira si fa sposa di Cloridaspe, con la rinuncia del regno di Persia, che vien fatta da Dario al genero Cloridaspe.
Protesta l’autore, che tutte le parole, e le frasi toccanti deità, numi, idoli, idolatrie, stelle, cielo, destino, sorte, e altre simili cose, sono semplici trascorsi di penna per l’adornamento della poesia, o per enfasi dell’orazione. Nel resto l’autore medesimo, che scrive come poeta, vive, e crede religiosamente come cristiano.

Prologo

Scena unica
Maga. Plutone. Mercurio.

[Recitativo]

MAGA
Orgonte re d’Arabia
(ahi nel ridirlo mi si spezza il core),
per un sospetto vano fece strozzar
il mio innocente padre,
ed io sopporterò che Cloridaspe
d’Orgonte figlio viva?
E l’arte mia, che fa tremar gl’abissi
e traballar nella sua sede il centro,
e in onta a Febo, a Giove,
nell’aria induce, e move,
nuvole, tenebre,
grandini, folgori,
turbini, fulmini,
non saprà vendicarmi?
Tenta oggi Cloridaspe
nozze regali in Persia. E sì impotente
sarà la forza dello sdegno mio,
che distornarle non saprà? Del cielo
se m’è interdetto il concitar lo sdegno,
all’ire accenderò l’oscuro Averno.
Ascenda in questo loco
l’orrenda Stige, il tenebroso inferno.

PLUTONE
Magica forza, e che non puoi? Da’ negri
siti perduti del tartareo mondo,
col tuo saper temuto,
qui conducesti Pluto:

"Dimmi il mio nome prima dell'alba, e all'alba vincerò"
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