L’incostanza schernita
Dramma comico pastorale in tre atti
Musica: Tomaso Albinoni
Libretto: Vincenzo Cassani
Prima rappresentazione: Venezia, Teatro San Samuele, Ascensione 1727
Ruoli:
- Filandro, forestiero (contralto)
- Dafni (soprano)
- Uranio (contralto)
- Corina (soprano)
- Orsinda (soprano)
Libretto – L’incostanza schernita
Ser.a Alt.za Elettorale.
La fama, che a noi precorse, Alt. Ser. de vostro avvicinamento a questa inclita Dominante, rallegrò tutti i cuori, e v’ìmpresse un desiderio estraordinario dì poter vedere così gran Personaggio, da tutti conosciuto per la chiarezza del Sangue, per la sublimità dell’ingegno, e molto più per le doti magnanime, e generose delle Virtù più singolari, che possino formare la vera Idea del gran Principe. Basta dire, che siate procreato dal gran Massimiliano, con la gran Figlia di quel Re sì glorioso, che unitamente tanto contribuirono alla libertà della Germania, alla sicurezza d’Italia, ed alla gloria della Religione. Non v’è Arte nobile, di cui non abbiate perfettissima cognizione, e diletto, e ne siete in tale possesso da far arrossire gli stessi Professori, allor quando decida il vostro purgato giudizio. O felice chi sotto l’Ombra di sì alto padrocinio si esercita in opre di virtù, sapendo bene il vostro intelletto ravvisarne i pregi, senza che vi abbisognì altro lume, che quello del vostro discernimento, Non vi sia dunque meraviglia, Ser. Principe, se l’impazienza de voti vi aspetta per tributarvi gl’osequj più rispettosi, e che prima di ogn’altro, vi si faccia incontro in atto semplice, e giulivo un Coro di Ninfe, e Pastori cantando, e recando fiori, colti di fresco in Parnaso, alla vostra gentilissima destra, che non isdegnerà d’accorli benignamente la vostra grand’Anima, benché per lo più avvezza a trattare con gran Regnanti, in quella guisa, che il Sole gìtta con la stessa indìferenza i suoi raggi sopra le più alte cime de Monti, che su le più basse pianure de prati. Se io mi presi l’ardire di guidare al vostro piede quest’umili persone, attribuitelo all’indole generosa del vostro gran sangue Bavaro, sempre inclinato per genio ereditato da gli Avi a questa nostra Città, e dé viventi vostri gran Princìpi, che dì quando in quando, l’onorano co i loro Personaggì, e ne spargono a piena mano le grazie. Voglio sperare, Ser. Alt. che gradirete questo scarso tributo della mìa riverenza, riguardando in esso, non la preciosità del valore, ma la rasegnazione de l’animo, con cui ve l’offro. Siane di ciò testimonio l’avermi astenuto da quella lode, che ben’ampia, e giusta ora saria necessaria; ma sò bene, che la vostra moderazione se n’offenderebbe, ed io sarei troppo scarso in dire tutto ciò che di Voi alla Fama, ed al Mondo è già noto. Permettetemi in tanto, che umilmente prostrato vi baci l’orlo del Manto, e possi per mia gloria, ed onore protestarmi
Di V. Alt. Ser.
Umiliss. riverent. Dev. Osseq. Serv.
Vincenzo Cassani.
CORTESISSIMO LETTORE
Ogni qual volta la fortuna, quasi per ischerzo, mi espone al cospetto d’un pubblico Teatro, dove la varietà di tanti ingegni sublimi tutto ciò, che se gli appresenta, disamina, non posso a meno di non tìngermi il volto d’un tal rossore, che mi fa pentire in cmel punto della mia troppo coraggiosa risoluzione, e condannarmi di troppo ardito. Se ciò avvenisse per ben conoscer me stesso, sarebbe una qualche apparenza di semplice virtù; ma perche nasce da timore d’incontrare quella sorte, ch’ha la maggior parte degli altri Drammi, viene ad enere più tosto un difetto di presunzione, che una modrsta cautela. Me ne confesso; mi lusingai del tuo gradimento, del quale non mi fosti mai scarso, e te ne rendo ora per allora le più rispettose grazie, quando vidi compiuta la presente Opera; ma ti confesso ancora, ch’io stesso ne perdei la firma allora che, preso l’impegno, mi vidi in necessità di raccorciarne le parti, tagliar le Scene intiere, gittar l’ariette migliori, e più confacevoli al compimento della Scena, per servire alla brevità del tempo, al genio de’ Virtuosi, ed alla Musica stessa; barbara soggezioae d’un povero Poeta Drammatico, che non se ne può dispensare per le circostanze, ad ogn’uno ben note. Per lo stesso motivo mi convenne tal volta lasciare la Scena vota per dar luoco a gl’Intermezzi, che per maggior tuo diletto si sono introdotti, come pure li balli, cori, ed altre nobili decorazioni in una calda stagìone, e sì gran brevità delle notti, in cui siamo. Ciò non ostante confido, che gli intendenti, onde abbonda il nostro paese, ben sappiano quanto sia per se stessa irregolare questa sorta di componimenti, a cui son regola, più che i precetti, ìl piacere, ed il diletto, e sopra questo getteranno la colpa dì qualche mancanza più tosto, che sopra di me, se ben vorranno, come lo spero, rettamente giudicare; e spero ancora, che mi sia accordato ìl loro compatimento, avendo cercato dalla mia sterile fantasia l’invenzione, senza valermi dell’altrui, per farlo credere mio proprio, né meno rinovai con novi titoli, né feci mio profitto le altrui fatiche, occultando al Mondo il vero nome degli Autori, defraudandoli di quella gloria, che se gli deve, senza far io però giudizio, se si migliorino, o si guastino ì loro parti con tanto studio, e fatica da loro a bella posta lavorati, come pur troppo il Mondo facilmente ne giudica. Ma questa colpa, se pur’ è tale, so che fin’ora non mi verrà addossata, e con questa fiducia mi presento al tuo cospetto, sperandone altrettanto compatimento quanta é in te cortesìa. Chi ha direzione del Teatro, ed a cui con tutto il genio, e con rassegnazione ubbidisco, altro non ha in mente, che d’incontrare il tuo gusto a costo anche di qualunque suo dispendio, e se tal volta non riesce l’intento, attribuiscilo a difetto della fortuna, più che alla generosa intenzione del suo bell’ animo. Ti prego accettare in buona parte questa protesta in testimonio della sincerità del mio cuore, ed attendo dalla maturità del tuo discorso un discreto giudizio. Sta sano.
Le voci Numi, adorare &cc. rìconoscile come scherzo Poetico, e non per sentimento di Cattolico, quale mi professo.
ARGOMENTO.
Un certo Filandro ìnclinatissimo, come lo rappresenta il Dramma, agli amori, ma incostantissimo nella scelta degli oggetti amorosi, essendosi partito dalla Patria natia per cercare altrove quella fortuna in amore, che non ebbe nel proprio Paese, assalito da fiera borasca, solcando il Mare, ruppe in uno scoglio, e salvatosi in un palischermo solo, ebbe la sorte d’esser gittato dal vento, e dalla tempesta ai Lidi di Citera, Isola dedicata a Venere Dea de gli amori, dove supponesi, che ogn’uno traesse vita Pastorale. Ivi fu accolto dalla pietà de’ Pastori, tra quali Uranio de’ principali delll’ìsola gli fece parte della propria Capanna, e tutto ciò, che gli fosse di bisogno per vivere in quello stato. Ma Filandro male corrispondendo alla cortesia dell’Ospite, s’invaghì tosto di Orsinda, Ninfa teneramente amata dallo stesso Uranio, e quasi di subito di Corina altra Ninfa amata da Dafni, pastore amico d’Uranio. Questa incostanza di Filandro porge il motivo all’intreccio dell’Opera, legato con altri avvenimenti amorosi, che servono d’episodj, e dì corpo al componimento tutto giulivo, ed allegro, lontano da un affannosa mozione d’affetti, a fine di sollevare l’animo, e trattenerlo con qualche invenzione di comica novità, a cui par, che inclini il tempo presenite, fenza perdere mai di vista, secondo il mìo potere, ne i fatti, e ne i sentimenti ìl carattere Pastorale.
ATTO PRIMO
Scena prima
Spiaggia di Mare in tempesta. Da un lato Atrio del Tempio della Dea Venere in mezzo ad una Selvetta di Mirti, con Fontane. Nel Mare un palischerino spinto dalla tempesta verso la spiaggia. Tuoni, lampi. D’intorno la spiaggia Pastori, e Ninfe, che l’osservano.
Orfinda, Uranio da una parte; in altra Corina, Dafni.
Orfinda
Ah, Uranio, qual fuor de l’usato scuote
Il trifulco tridente il Dio de l’onde!
Osserva, osserva, oh Dio,
Quel picciol Legno, che da Borea spinto,
Sembra, che ad ora ad ora il Mar l’assorba.
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