L’isola disabitata
Azione teatrale
Libretto di Pietro Metastasio
Musica di Franz Joseph Haydn
Prima esecuzione: 6 dicembre 1779, Esterháza, Teatro di corte.
Video dell’opera
Personaggi:
COSTANZA moglie di Gernando | soprano |
SILVIA di Costanza sorella minore | soprano |
ENRICO compagno di Gernando | basso |
GERNANDO consorte di Costanza | tenore |
Libretto – L’isola disabitata
Argomento
Navigava il giovane Gernando co’ la sua giovanetta sposa Costanza e con la piccola Silvia ancora infante, di lei sorella, per raggiungere nell’Indie Occidentali il suo genitore, a cui era commesso il governo di una parte di quelle; quando da una lunga e pericolosa tempesta fu costretto a discendere in un’isola disabitata per dar agio alla bambina ed alla sposa di ristorarsi in terra delle agitazioni del mare. Mentre queste placidamente riposavano in una nascosta grotta, che loro offerse comodo ed opportuno ricetto, l’infelice Gernando con alcuni de’ suoi seguaci fu sorpreso, rapito e fatto schiavo da una numerosa schiera di pirati barbari, che ivi sventuratamente capitarono. I suoi compagni, che videro dalla nave confusamente il tumulto, e crederono rapite con Gernando la bambina e la sposa, si diedero ad inseguire i predatori; ma, perduta in poco tempo la traccia, ripresero il loro interrotto cammino. Desta la sventurata Costanza, dopo aver cercato lungamente invano lo sposo e la nave che l’avea colà condotta, si credé, come Arianna, tradita ed abbandonata dal suo Gernando. Quando i primi impeti del suo disperato dolore cominciarono a dar luogo al naturale amor della vita, si rivolse ella, come saggia, a cercar le vie di conservarsi in quell’abbandonata segregazion de’ viventi; ed ivi dell’erbe e delle frutte, onde abbondava il terreno, si andò lunghissimo tempo sostenendo con la picciola Silvia, ed inspirando l’odio e l’orrore da lei concepito contro tutti gli uomini all’innocente che non li conosceva. Dopo tredici anni di schiavitù, riuscì a Gernando di liberarsi. La prima sua cura fu di tornare a quell’isola, dove aveva involontariamente abbandonata Costanza, benché senz’alcuna speranza di ritrovarla in vita.
L’inaspettato incontro de’ teneri sposi è l’azione che si rappresenta.
Atto unico
Parte prima.
[Sinfonia]
Scena prima
Parte amenissima di picciola e disabitata isoletta a vista del mare, ornata distintamente dalla natura di strane piante, di capricciose grotte e di fioriti cespugli. Gran sasso molto innanzi dal destro lato, sul quale si legge impressa un’iscrizione non finita in caratteri europei.
Costanza, vestita a capriccio di pelli, di fronde e di fiori, con elsa e parte di spada logora alla mano, in atto di terminare l’imperfetta iscrizione.
Recitativo
COSTANZA
Qual contrasto non vince
l’indefesso sudor! Duro è quel sasso,
l’istromento è mal atto,
inesperta la mano; e pur dell’opra
eccomi al fin vicina. Ah sol concedi
ch’io la vegga compita,
e da sì acerba vita
poi mi libera, o ciel. Se mai la sorte
ne’ dì futuri alcun trasporta a questo
incognito terreno,
dirà quel marmo almeno
il mio caso funesto e memorando.
(legge l’iscrizione)
«Dal traditor Gernando
Costanza abbandonata, i giorni suoi
in questo terminò lido straniero.
Amico passeggero,
se una tigre non sei
o vendica o compiangi… i casi miei.»
Questo sol manca. A terminar s’attenda
dunque l’opra che avanza
(torna al lavoro)
Scena seconda
Silvia frettolosa ed allegra, e detta.
SILVIA
Ah germana! Ah Costanza!
COSTANZA
Che avvenne, o Silvia? Onde la gioia?
SILVIA
Io sono
fuor di me di piacer.
COSTANZA
Perché?
SILVIA
La mia
amabile cervetta,
in van per tanti dì pianta e cercata,
da sé stessa è tornata.
COSTANZA
E ciò ti rende
lieta così?
SILVIA
Poco ti pare? È quella
la mia cura, il sai pur, la mia compagna,
la dolce amica mia. M’ama, m’intende,
mi dorme in sen, mi chiede i baci, è sempre
dal mio fianco indivisa in ogni loco:
la perdei; la ritrovo; e ti par poco?
COSTANZA
Che felice innocenza!
(torna al lavoro)
SILVIA
E ho da vederti
sempre in pianti, o germana?
COSTANZA
E come il ciglio
mai rasciugar potrei?
Già sette volte e sei
l’anno si rinnovò da che lasciata
in sì barbara guisa,
da’ viventi divisa,
di tutto priva e senza speme, oh dio!
Di mai tornar su la paterna arena,
vivo morendo: e tu mi vuoi serena?
SILVIA
Ma per esser felici
che manca a noi? Qui siam sovrane. È questa
isoletta ridente il nostro regno;
sono i sudditi nostri
le mansuete fiere. A noi produce
la terra, il mar. Dalla stagione ardente
ci difendon le piante, i cavi sassi
dalla fredda stagion; né forza o legge
qui col nostro desio mai non contrasta.
Or di’, che basterà, se ciò non basta?
COSTANZA
Ah tu del ben, che ignori,
la mancanza non senti. Atta del labbro
a far uso non eri, o del pensiero,
quando qui si approdò; né d’altro oggetto
che di ciò che hai presente
serbi le tracce in mente. Io, ch’era allora
quale or tu sei, paragonar ben posso,
(oh memoria molesta!)
con quel ben che perdei, quel che mi resta.
SILVIA
Spesso esaltar t’intesi
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