L’Olimpiade

Dramma per musica.

Libretto di Pietro Metastasio
Musica di Antonio Caldara

Prima esecuzione: 28 agosto 1733, Vienna, Giardino del palazzo imperiale della favorita.
Video dell’opera

Attori

CLISTENE re di Sicione, padre d’Aristea contralto
ARISTEA figlia di Clistene, amante di Megacle soprano
ARGENE dama cretense, in abito di pastorella sotto nome di Licori, amante di Licida soprano
LICIDA creduto figlio del re di Creta, amante d’Aristea ed amico di Megacle contralto
MEGACLE amante d’Aristea ed amico di Licida soprano
AMINTA aio di Licida basso
ALCANDRO confidente di Clistene tenore

Coro di Pastori e Ninfe, Atleti, Sacerdoti. Comparse: Guardie greche con Clistene, Paggi e Cavalieri con Aristea, Ninfe e Pastori con Argene, Sacerdoti con Licida, Atleti con Megacle.

La scena si finge nelle campagne d’Elide, vicino alla città d’Olimpia, alle sponde del fiume Alfeo.

Argomento
Dramma rappresentato con musica del Caldara, la prima volta nel giardino dell’imperial favorita, alla presenza degli augusti regnanti, il dì 28 agosto 1733, per festeggiare il giorno di nascita dell’imperatrice Elisabetta, d’ordine dell’imperatore Carlo VI:
Nacquero a Clistene, re di Sicione, due figliuoli gemelli, Filinto ed Aristea: ma, avvertito dall’oracolo di Delfo del pericolo ch’ei correrebbe d’esser ucciso dal proprio figlio, per consiglio del medesimo oracolo fece esporre il primo e conservò la seconda. Cresciuta questa in età ed in bellezza, fu amata da Megacle, nobile e valoroso giovane ateniese, più volte vincitore ne’ giuochi olimpici. Questi, non potendo ottenerla dal padre, a cui era odioso il nome ateniese, va disperato in Creta. Quivi assalito, e quasi oppresso da masnadieri, è conservato in vita da Licida creduto figlio del re dell’isola; onde contrae tenera e indissolubile amistà col suo liberatore. Avea Licida lungamente amata Argene, nobil dama cretense, e promessale occultamente fede di sposo. Ma, scoperto il suo amore, il re, risoluto di non permettere queste nozze ineguali, perseguitò di tal sorte la sventurata Argene, che si vide costretta ad abbandonar la patria e fuggirsene sconosciuta nelle campagne d’Elide, dove sotto nome di Licori ed in abito di pastorella visse nascosta a’ risentimenti de’ suoi congiunti ed alle violenze del suo sovrano. Rimase Licida inconsolabile per la fuga della sua Argene; e dopo qualche tempo, per distrarsi dalla mestizia, risolse di portarsi in Elide e trovarsi presente alla solennità de’ giuochi olimpici, ch’ivi, col concorso di tutta la Grecia, dopo ogni quarto anno si ripetevano. Andovvi lasciando Megacle in Creta, e trovò che il re Clistene, eletto a presiedere a’ giuochi suddetti, e perciò condottosi da Sicione in Elide, proponeva la propria figlia Aristea in premio al vincitore. La vide Licida, l’ammirò, ed, obliate le sventure de’ suoi primi amori, ardentemente se n’invaghì; ma disperando di poter conquistarla, per non esser egli punto addestrato agli atletici esercizi, di cui dovea farsi pruova ne’ detti giuochi, immaginò come supplire con l’artificio al difetto dell’esperienza. Gli sovvenne che l’amico era stato più volte vincitore in somiglianti contese; e (nulla sapendo degli antichi amori di Megacle con Aristea) risolse di valersi di lui, facendolo combattere sotto il finto nome di Licida. Venne dunque anche Megacle in Elide alle violenti istanze dell’amico; ma fu così tardo il suo arrivo, che già l’impaziente Licida ne disperava. Da questo punto prende il suo principio la rappresentazione del presente drammatico componimento. Il termine o sia la principale azione di esso è il ritrovamento di quel Filinto, per le minacce degli oracoli fatto esporre bambino dal proprio padre Clistene; ed a questo termine insensibilmente conducono le amorose smanie di Aristea, l’eroica amicizia di Megacle, l’incostanza ed i furori di Licida e la generosa pietà della fedelissima Argene. HEROD. PAUS. NAT. COM. ec.

Libretto – L’Olimpiade

Licenza
Ah no, l’augusto sguardo
non rivolgere altrove, eccelsa Elisa.
Ubbidirò. Tu ascolterai, se m’odi,
(dura legge a compir!) voti e non lodi.
Veggano ancor ben cento volte e cento
i numerosi tuoi sudditi regni
tornar sempre più chiaro
questo giorno per te: per te, che sei
la lor felicità, che nel tuo seno
le più belle virtù, come in lor trono,
l’una all’altra congiunte… Ahimè! Perdono.
Voti in mente io formai; ma dal mio labbro
escon (per qual magia dir non saprei)
trasformati in tua lode i voti miei.
Errai: ma il mondo intero
ho complice nel fallo; e (non sdegnarti)
mi par bello l’error. L’anime grandi
a vantaggio di tutti il ciel produce.
Nasconderne la luce
perché, se agli altri il buon cammino insegna?
Le lodi di chi regna
sono scuola a chi serve. Il grande esempio
innamora, corregge,
persuade, ammaestra. Appresso al fonte
tutti non sono: è ben ragion che alcuno
disseti anche i lontani. Ah, non è reo
chi, celebrando i pregi
dell’anime reali,
ubbidisce agli dèi, giova a’ mortali.
Nube così profonda
non può formarsi mai,
che le tue glorie asconda,
che ne trattenga il vol.
Saria difficil meno
torre alle stelle i rai,
a’ fulmini il baleno,
la chiara luce al sol.

Atto primo

Scena prima
Fondo selvoso di cupa ed angusta valle, adombrata dall’alto da grandi alberi, che giungono ad intrecciare i rami dall’uno all’altro colle, fra’ quali è chiusa.
Licida e Aminta.

LICIDA
Ho risoluto, Aminta;
più consiglio non vuò.

AMINTA
Licida, ascolta.
Deh modera una volta
questo tuo violento
spirito intollerante.

"Dimmi il mio nome prima dell'alba, e all'alba vincerò"
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