Parisina
Melodramma.
Libretto di Felice Romani.
Musica di Gaetano Donizetti.
Prima esecuzione: 17 marzo 1833, Firenze, Teatro della Pergola.
Personaggi:
AZZO signor di Ferrara | baritono |
PARISINA sua moglie | soprano |
UGO che poi si scopre figlio d’Azzo | tenore |
ERNESTO ministro d’Azzo | basso |
IMELDA damigella di Parisina | mezzosoprano |
Cori e comparse: Cortigiani, Cavalieri, Damigelle, Gondolieri e Soldati.
La scena è in Belvedere, isola di delizia sul Po dei principi Estensi e parte in Ferrara. L’epoca è il XIV secolo.
Libretto – Parisina
Avvertimento
Il soggetto è tolto da un poemetto di lord Byron; né fondamento istorico ha desso, che poche parole del Gibbon. Forse esisterà qualche cronaca della famiglia Estense, in cui sarà parlato più chiaramente e di Parisina, e del principe sotto il cui regno avvenne la tragedia. Io non l’ho rinvenuta, e mi sono creduto in diritto d’inventare ciò ch’io credeva necessario al mio dramma, e probabile ai tempi in cui governava Ferrara, non Azzo come lo chiama il Byron, ma il principe di cui Gibbon favella. Ed ecco l’antifatto della mia favola.
Il signor di Carrara scacciato da’ suoi domini dalla fazion ghibellina cerca ricovero per la sua figlia Parisina in corte d’Azzo, principe amico, e del partito dei guelfi. Parisina è quivi cresciuta insieme ad un orfanello raccolto da un vecchio ministro del duca, e da questi educato fra i suoi paggi, ignaro esser desso un suo figlio naturale avuto da una donna da lui bandita per sospetto d’infedeltà, e miseramente perita.
S’innamora segretamente del paggio, così chiamasi Ugo, ed Ugo di lei. Ma richiesta in isposa da Azzo, il quale si obbliga in ricompensa a ricuperare al padre i perduti stati, è costretta ad obbedire alluno e all’altro, e diviene moglie del signor di Ferrara. Da quel punto gli amanti sono infelicissimi. Come l’amor loro è scoperto e crudelmente punito, forma l’orditura della mia azione come quella di Byron, tranne alcuna diversità inevitabile, poiché diverso è il poema che racconta, dal poema che rappresenta. Costretto qual fui da imperiose necessità a comporre un dramma alla spezzata, e in pochi giorni, e senza aver modo di rivederlo e correggerlo, se non mi è lecito invocare indulgenza pe’ suoi difetti, mi sia concesso almeno di deplorare la trista circostanza di non poter offrire alla italiana Atene un lavoro meno indegno di essa, ed oso dirlo, meno indegno di me medesimo.
Felice Romani
Atto primo
Scena prima
Sala nel palazzo del duca in Belvedere.
Paggi, Scudieri, Cortigiani, indi Ernesto.
ERNESTO
(entrando)
È desto il duca?
CORO
È desto.
Dorme lung’ora ei forse?
Torbido all’alba sorse
come corcossi ier.
Ma sì, per tempo. O Ernesto
tu d Ferrara uscito!
Forse del duca invito
ti chiama a Belveder?
ERNESTO
Inaspettato e pure
giunger qui grato io spero.
CORO
Grato se di venture
è il tuo venir foriero.
D’uopo n’abbiam: qui tutto:
spira mestizia e lutto,
afflitto più che mai
turbato d’Azzo è il cor.
ERNESTO
Afflitto!
CORO
Ah tu ben sai
il suo geloso amor.
ERNESTO
Lo so… Ma la duchessa
sospetta è sempre a lui?
CORO
Egra, languente è dessa:
fugge il consorte e altrui.
Non mai sorriso spunta
su quella fronte smunta,
o sviene appena è nato,
quel languido balen.
ERNESTO
E il duca?
CORO
Si distrugge
d’ira e d’amore insieme
or la ricerca, or fugge,
or la lusinga, or freme.
Ansio la notte e il giorno
sembra spiar d’intorno,
quasi un rival celato
tema alla reggia in sen.
ERNESTO
Oh, doloroso stato!
CORO
Sì, ma silenzio.
TUTTI
Ei vien.
Scena seconda
Azzo, e detti.
(tutti gli fan luogo: guarda esso d’intorno e si accorge d’Ernesto)
AZZO
Che mi rechi?
ERNESTO
Lieti eventi.
AZZO
Lieti a me?
ERNESTO
Lo spero.
AZZO
E quali?
ERNESTO
Dopo lunghi e rii cimenti
Padoa tolta è a tuoi rivali:
e per l’arme di Ferrara,
fortunato il pro Carrara,
vinta l’ira ghibellina
sul suo trono alfin sedè.
AZZO
Ei mi diede Parisina;
poco è un trono a lui mercé.
ERNESTO
Nuova è questa, ond’abbia anch’essa
a gioir del tuo contento.
AZZO
(a parte ad Ernesto)
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